Freelance? Non proprio, lo show è precario

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ROMA – «Guarda che se c’è ‘na ventata qui cascano i chiodi». L’avvertimento che il capo attrezzista ha rivolto ieri mattina agli occupanti del teatro Valle, pregandoli di scendere dal palco e di accomodarsi in platea, riassume alla perfezione come la crisi abbia reso vulnerabili gli indipendent contractors, contrattisti indipendenti, in altre parole i freelance che lavorano nello spettacolo, nel teatro o nel cinema, ma anche nell’editoria, nella ricerca o nei musei. Esposti ad ogni soffio di vento, come tutti i lavoratori autonomi di seconda generazione, anche gli attori e i videomakers, le danzatrici e i tecnici non hanno diritto a un sostegno al reddito, né a un’assicurazione sanitaria, per non parlare del diritto universale alla maternità  o di quello alla pensione. Molto difficilmente potranno riunificare i contributi versati all’Enpals (quando fanno parte di una troupe, una compagnia o un’orchestra) e quelli alla gestione separata dell’Inps (quando invece lavorano da liberi professionisti), con il risultato che nessuno di loro otterrà  le tutele minime previste per tutte il lavoro dipendente in Italia. In una recente analisi, l’osservatorio dello spettacolo ha rivelato che il reddito medio di un lavoratore dello spettacolo è di 7500 euro annui, quindi al di sotto della soglia di povertà , mentre la media delle giornate lavorative è inferiore a 90.

Questo significa che la maggioranza degli oltre 200mila lavoratori dello spettacolo che versano regolarmente i contributi non riesce a comporre un anno pensionistico per il quale sono necessarie 120 giornate. In compenso, l’Enpals e la gestione separata dell’Inps sono in attivo rispettivamente di 1,5 e 8 miliardi di euro all’anno. Soldi che appartengono di diritto a questi lavoratori, anche se non verranno mai erogati a loro beneficio. Contro questo scandalo, il movimento degli intermittenti rivendica giustizia sociale e contributiva, un reddito universale e la riforma del Welfare.
Lo hanno fatto per mesi a Roma dove hanno già  occupato l’ex cinema Palazzo, ribattezzato sala Vittorio Arrigoni a San Lorenzo (destinata a diventare un casinò) e il cinema Metropolitan in via del Corso (che forse diventerà  un Apple Store). Ora si sentono a una svolta: «I tagli alla cultura ci hanno ridotto in uno stato di emergenza – dicono – ormai non possiamo affrontarlo individualmente, né solo come corporazione professionale». Quello che propongono agli altri lavoratori della cultura è una coalizione che ottenga politiche attive di welfare, ma anche il riconoscimento dello statuto sociale degli artisti come previsto da una risoluzione del parlamento europeo.


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