Governo balneare

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E’ un Berlusconi che misura le parole leggendo per 40 minuti anche le virgole, quello che ieri pomeriggio affronta l’aula del senato per la verifica chiesta dal Presidente della Repubblica per chiarire di cosa è fatta una maggioranza balcanizzata dal mercato dei voti. Al capo dello stato si aggrappa per l’appello all’unità  «sui valori comuni», e per fortuna il testo che recita non ne cita nessuno.
Il leader ammaccato cammina sulle uova, mette un piede dietro l’altro per evitare la frittata sulla politica estera e sulla riforma fiscale, i due nervi scoperti con la Lega (Bossi non c’è e fa sapere che non ha nemmeno ascoltato il discorso). Berlusconi sussurra nelle orecchie dei moderati che non lo hanno seguito. Si possono ravvedere, sapendo che se vogliono le porte sono aperte ma con lui presidente del consiglio. L’unica forza residua che gli resta è puntare sulle debolezze di un quadro politico in transizione, sulle difficoltà  di alleati e oppositori. Il suo partito non ha costruito l’eredità  del popolarismo europeo coltivando, al contrario, il populismo della satrapia, né le opposizioni hanno lavorato a un’alternativa mentre cercano un leader e un programma. La palude del centrodestra lo tiene a galla, le voci di governi tecnici gli conservano la poltrona.
Nulla nelle cartelle che legge come un sorvegliato speciale, senza concedersi battute fuori copione, somiglia a una nuova spinta verso un rilancio dell’impresa che lo ha visto protagonista di un’epoca politica. Il governo arriverà  alla scadenza della legislatura per difendere il paese dal rischio-Grecia che lo colpirebbe di fronte a una crisi della maggioranza. «Gli italiani ci hanno scelto, non esistono alternative, sarebbe folle rimettere tutto in discussione, L’Italia resta governata da chi ha vinto le elezioni nel 2008». E il voto di fiducia al decreto sullo Sviluppo che nel frattempo il governo guadagnava alla Camera, con la conferma dei 317 voti di maggioranza, è il salvagente di un governo già  balneare.


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UN LEADER FORTE

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    «SE FACCIAMO le cose per bene non ci ammazza più nessuno», aveva detto Bersani all’inizio di questa avventura rischiosa e «strepitosa». Non tutto è andato alla perfezione, nel ruvido duello per la premiership del centrosinistra. La rissa sulle regole è stata rancorosa, e a tratti indecorosa. Ma adesso che ha stravinto, per il segretario del Pd comincia un’altra vita. La più dura. Quella che lo può portare da Largo del Nazareno a Palazzo Chigi.

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