In piazza per Assad E la repressione non si ferma

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 Rabie Dibeh coordinatrice della campagna, ha dichiarato alla Sana, che l’evento sottolineava «l’unità  rappresentata dal presidente e la contrarietà  ad ogni interferenza straniera negli affari siriani». «La bandiera simboleggia l’unità  in questo momento di divisioni, niente simboli di partito o del presidente» afferma Fadi, un manifestante di 30 anni. Tra le centinaia di migliaia di partecipanti (2 milioni per la tv di stato) si notavano molti cartelloni e t-shirt con il volto di Assad, cori di sostegno (Abu Hafez), e gli striscioni «Sono siriano e sotto sanzioni Ue», «E ora, Al Jazeera cosa dici?», ironizzando sull’emittente del Qatar accusata di disinformazione.
Tornano dunque in piazza i sostenitori di Bashar Al Assad dopo i raduni oceanici di fine marzo. Preannunciano anche stavolta un discorso del presidente, che da due mesi non ha fatto un intervento pubblico? La partecipazione all’evento, trasmesso in diretta sulla TV nazionale, se anche in parte «incoraggiata», mostra che Bashar gode ancora di un largo seguito. «Come mai queste manifestazioni sono autorizzate? – ironizza Mohamad, studente della vicina università  – Il regime ha deciso di lanciare un’offensiva mediatica».
E, mentre elicotteri militari, salutati dalla folla, sorvolano il raduno di Damasco, altri conducono operazioni nel nord e nell’est del paese. Carri armati stazionano all’entrata di Maraat Al-Nauman, cittadina a sud di Aleppo, teatro di proteste e da cui i residenti fuggono temendo rappresaglie militari. Carri armati circondano anche il villaggio di Abu Kamal, alla frontiera con l’Iraq e la città  di Deir al Zour nell’est. Un video (non verificabile) di Deir Al Zour mostra soldati che hanno disertato e un carro-armato circondati da civili in festa. Crescono le testimonianze di diserzioni dall’esercito, limitate ai ranghi più bassi. Ma il generale siriano Addad assicura che l’esercito è unito. Non si fermano le proteste nel paese, con oltre 100.000 partecipanti ad un sit-in ad Hama, secondo gli attivisti.
E continua il flusso dei profughi verso la Turchia (circa 8.500), mentre il governo siriano invita i rifugiati a rientrare nelle loro case. Martedì, al telefono, il premier turco ha chiesto ad Assad di «non utilizzare la forza contro i civili e di fissare un agenda per avviare le riforme». E ieri pomeriggio si è tenuto un nuovo incontro tra Erdogan e l’inviato di Assad. «La Turchia è un paese che può avere presa diplomatica sulla Siria», dice un analista siriano «anche se il regime finora va per la propria strada». Russia e Cina minacciano il veto contro una risoluzione all’Onu di condanna della Siria ma «se la violenza continua, la Russia potrebbe cambiare idea ed il regime sarà  ancora più isolato internazionalmente». Il commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay ha condannato l’uso di esecuzioni, arresti di massa e tortura da parte delle forze di sicurezza siriane.


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