La terza volta di Erdogan

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 Si vota oggi in Turchia per rinnovare il parlamento di 550 seggi. Tutti i sondaggi indicano che l’Akp, il Partito della giustizia e sviluppo, islamico moderato-conservatore e «centrista» (una sorta di Democrazia cristiana turca) guidato dal premier Recep Tayyp Erdogan, le vincerà  a mani basse per la terza volta consecutiva dal 2003. Quella fu la prima volta in cui gli islamici riuscirono a sfondare il muro del rigido secolarismo vigente dalla fondazione della nuova Turchia da parte del padre della patria Kemal Ataturk, nel 1923.

I sondaggi danno all’Akp fra il 40 e il 50% dei voti, nel 2007, le ultime elezioni politiche, ebbe il 46.6%. Per conquistare una maggioranza assoluta blindata (che consentirebbe la riforma a fondo e in solitario di una costituzione che per quanto già  più volte emendata formalmente è ancora quella scaturita dal colpo di stato militare del 1980) avrebbe bisogno dei due terzi dei 550 seggi del parlamento, ossia del 52% dei voti. Se arriverà  a 330 seggi, che richiedono il 46-47% dei voti, la riforma dovrà  passare da un referendum popolare. Quello cui sperano i partiti d’opposizione è di conquistare un potere di blocco che impedisca all’Akp di fare il bello e il cattivo tempo. Si presentano in 15 ma in realtà  l’altissima soglia si sbarramento del 10% consentirà  solo a 2 o 3 di entrare in parlamento.
Il Chp, Partito repubblicano del popolo, di ispirazione kemalista e blandamente social-democratica, guidato da Kemal Kilicdaroglu da un anno ( ha rimpiazzato Deniz Baykal, bruciato dal solito scandalo sessuale), è accreditato del 25-30% dei voti, meglio del 20% del 2007. Il Mhp, Movimento nazionalista, guidato da Devlet Bahceli, di destra (rimprovera «la debolezza» di Erdogan nei confronti del separatismo kurdo), è al limite perché i sondaggi gli danno fra il 10 e il 13%, ed è stato colpito dalla diffusione di intercettazioni video che ritraevano una decina di suoi esponenti di vertice in azionecon prostitute (tutto il mondo è paese). Poi ci sono i kurdi, l’inestirpabile spina nel fianco di Ankara. I kurdi, che nel parlamento uscente hanno 21 deputati, aggireranno, come nel 2007, la micidiale soglia di sbarramento candidando indipendenti. Questa volta il Blocco per il lavoro, la democrazia e la libertà , che riunisce gli indipendenti kurdi, sinistra e arabi, punta a portare in parlamento minimo una trentina di deputati. Tra i nomi spiccano quelli di Leyla Zana e Hatip Dicle (già  eletti nel ’90 e subito arrestati e tenuti in galera per dieci anni), il regista Sirri Sureyya Onder, il giornalista Ertgrul Kurkà§u, il musicista Ferhat Tunà§.
Erdogan vincerà  sull’onda degli spettacolari progressi ottenuti in questi otto anni dalla Turchia. L’economia sta viaggiando a ritmi cinesi (il prodotto interno lordo è triplicato dal 2003) ed è oggi la numero 16 al mondo con ambiazioni di arrivare nelle prime 10 entro il 2023, il centenario della fondazione ad opera di Ataturk. La Turchia è passata quasi indenne dalla crisi globale del 2009, o comunque è subito ripartita, e ora può vantare un rapporto debito-pil del 41% da far arrossire quasi tutti i paesi ricchi non solo d’Europa. E’ ormai un colosso con cui bisogna fare i conti sia in Europa sia e soprattutto in Medio oriente e nel Nord Africa. Con la Ue i negoziati sono cominciati dal 2005 ma sono bloccati oltre che da un veto formale di Cipro per via dell’occupazione turca della parte settentrionale dell’isola, soprattutto da un veto strisciante di Francia e Germania, e dai timori più o meno inconfessabili dell’«Europa cristiana» rispetto all’entrata di una simile massa di musulmani. I problemi, le lentezze e le reticenze dell’Europa hanno spinto la Turchia (che è membro-chiave della Nato e da sempre alleato stretto degli Usa) a rivolgersi verso Oriente. Dove è ormai un fattore ineludibile.
In Medio Oriente la alleanza «strategica» con Israele è in crisi (o in impasse) per via dell’attacco di un anno fa dei commandos israeliani alla nave turca della Freedom flotilla diretta a Gaza, che però è l’indice di un dissenso più profondo e legato alla politica espansionista-bellicista dello stato israeliano. Anche le rivolte arabe in Medio Oriente, Nord Africa e vedono la Turchia in primo piano. In Libia e, soprattutto, in Siria (se non altro per via del confine e dei problemi comuni). La stabilità  politica ed economica, dopo decenni di coalizioni rissose e 4 golpe militari, bancarotte e inflazioni al 30%, forse non sono merito solo di Erdogan ma sono state raggiunte durante i suoi otto anni. Che lui vorrebbe portare addirittura, fra riforme costituzionali e ambiziosi progetti economici, addirittura fino al 2020, l’anno del centenario.

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Nei top 10 entro il 2023

 Quasi 75 milioni di abitanti (più della Francia e dell’Italia) perennemente in bilico tra Europa e Medio oriente, con un’economia emergente che ora è la sedicesima al mondo ma punta a essere nelle top 10 nel 20023, cententario della fondazione della Turchia cotemporanea da parte di Kemal Ataturk, un pil in crescita a ritmi elevatissimi (8.9% nel 2010, quasi come Cina e Argentina) triplicato in otto anni, un’inflazione tutto sommati contenuta (6.4% l’anno scorso) rispetto agli indici di crescita, un rapporto debito/pil del 41% ben dentro i parametri di Maastrich, un partito islamico moderato al governo da otto anni, l’Akp (Partito della giustizia e sviluppo) e che i sondaggi danno di nuovo fra il 40 e il 50%, rispetto al 46.6% delle ultime elezioni politiche del 2007. L’ Akp è guidato da popolarissimo premier Recep Tayyip Erdogan, cinquantasettenne ex sindaco di Instanbul con un passato di calciatore e di militante islamico e un «nobile» soggiorno in carcere quando il paese era dominato da generale e da generali laici e golpisti. Il futuro è o dovrebbe essere nell’Unione europea, con i negoziati preliminari sono cominciati nel 2005 ma sono bloccati da un veto cipriota per la questione dell’occupazione della parte nord dell’isola e dall’opposizione di Francia e Germania (nonche dal timore dell’entrata di un paese ad assoluta preponderanza islamica). L’Italia invece appoggia il cammino di Ankara verso la Ue.


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