Le banche italiane nel mirino di Moody’s

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MILANO – Tocca alle banche italiane. Moody’s mette in revisione, per un ribasso, il merito di credito dei principali istituti, una settimana dopo una mossa analoga sul debito sovrano dell’Italia (che ha un rating Aa2), e poi a caduta sulle partecipate del Tesoro e su 23 istituzioni locali.
La notizia, un po’ automatica ma non buona di per sé, esce nel giorno in cui lo scarto del debito italiano sfiora il record di sette mesi fa. Il premio di rendimento che i Btp decennali pagano rispetto ai bund tedeschi è aumentato ieri a 208 punti base, per il peso destabilizzante che sui mercati continua a rivestire la situazione greca. «L’incognita Grecia è fonte di rischio non solo finanziario ma anche politico», ha detto il ministro dell’economia Giulio Tremonti ieri. Il quadro ha piombato le Borse: Milano ha perso il 2,73%, Parigi il 2,16%, Francoforte l’1,77%, Londra l’1,71%, Atene il 2,33% e Madrid il 2,77%. Sul fronte valutario è scosso anche l’euro, crollato a 1,4127 dollari da 1,4356 segnati ieri a New York.
L’agenzia internazionale americana continua il suo focus sull’Italia: ieri sulle banche. Quelle per cui il voto potrebbe cambiare in peggio sono Intesa Sanpaolo, Imi, Carifirenze, Mps, Mps capital services, Cassa depositi e prestiti, Banco popolare, Bnl, Cariparma, Friuladria, Carige, Banca Sella, Cassa di Bolzano-Sudtirol, Cassa di Cesena, Banca padovana di credito cooperativo, Cassa centrale banca, Raiffeisen. Inoltre le prospettive di Moody’s sul rating a lungo termine calano da “stabili” a “negative” per Ubi, Credem, Credito valtellinese, Bancaperta, Banca Marche, Banca Italease, Banca Agrileasing, Popolare Alto Adige, Bancapulia, Banca popolare di Cividale, Tercas, Cassa di risparmio della provincia di Chieti e Popolare di Spoleto. Mancano all’appello Unicredit, Bpm, Dexia, Efibanca e altri istituti minori che però, avverte l’agenzia, avevano già  i rating in revisione o con prospettive negative, «di conseguenza potrebbero subire un ribasso».
Le motivazioni della mossa sono connesse «all’affidabilità  creditizia del governo e alla sua capacità  di sostenere le banche», si legge nella nota. Pesano, inoltre, i nuovi orientamenti internazionali in tema di fallimenti bancari e «la minore volontà  dei governi di sostenere il debito garantito delle banche più piccole e meno importanti dal punto di vista sistemico». Si tratta, di fatto, di un altro campanello d’allarme per l’Italia. E ieri lo ha suonato anche il Wall Street Journal: «Verrà  il turno dell’Italia? Finora il paese ha evitato l’attacco dei mercati grazie a una certa solidità  dei fondamentali economici. Ma la perenne combinazione di crescita ridotta, debito pubblico elevato e instabilità  politica può causare problemi. C’è un urgente bisogno di impopolari riforme strutturali, come quella per licenziare i lavoratori fissi e ridurre il peso dei contratti nazionali. E il governo deve dettagliare la futura manovra da 40 miliardi, mentre la politica parla di taglio delle tasse». Secondo il quotidiano americano l’Italia «non è a rischio immediato di crisi, ma il governo deve muoversi prima che il mercato cambi idea».

 


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