«La crescita? Dipende cosa cresce»

by Editore | 22 Giugno 2011 8:11

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Come tu ben sai la popolazione mondiale è aumentata enormemente negli ultimi tempi a partire dal secolo scorso. All’inizio eravamo un miliardo e mezzo di persone, oggi siamo quasi sette miliardi. Tu sei demografo, come leggi questo fenomeno?

Innanzitutto, alla radice di questa crescita senza precedenti c’è una rivoluzione nei comportamenti individuali, a sua volta determinata da una rivoluzione delle conoscenze. Fino alla metà  dell’800 eravamo poveri di conoscenze scientifiche e poveri di risorse, la mortalità  infantile era elevatissima, la vita media era intorno ai 30 anni. Durante quel secolo è iniziata una gigantesca rivoluzione di saperi, di tipo medico e epidemiologico in particolare, e insieme s’è verificato un progressivo aumento delle risorse pro-capite, che ha migliorato l’alimentazione, l’igiene, i comportamenti individuali, l’intera l’organizzazione della vita. E questo è stato un cambiamento sicuramente positivo alla radice degli enormi guadagni di sopravvivenza e longevità . Al quale però la componente riproduttiva, la natalità , si è adattata con molta lentezza. È passato parecchio tempo prima che le coppie si avvedessero del fenomeno, per cui si poteva “economizzare” anche sulla riproduzione visto che la mortalità  infantile si era ridotta. E questo sfasamento ha creato l’accelerazione della crescita demografica. È passata qualche decina d’anni prima che la natalità  cominciasse a flettere.
Con una grossa differenza tra il mondo occidentale e il Sud del mondo.
Ovviamente. Nel mondo ricco il fenomeno, comunemente chiamato “transizione demografica”, si è affermato nella seconda metà  del XIX secolo, mentre nel resto del pianeta tutto ha avuto un andamento assai più lento: la flessione della natalità  è iniziata dalla seconda metà  dal secolo scorso, per accelerare negli ultimi decenni… A questo si deve quella moltiplicazione degli esseri umani che tutti conosciamo.
Nel sud del mondo però si verifica ancora una crescita della popolazione ben più elevata che in Occidente.
Intendiamoci, il Sud del mondo è molto diversificato. Dal punto di vista demografico è soprattutto l’Africa sub-sahariana ad avere ancora tassi di crescita elevatissimi. Mentre ad esempio in tutto il sud-est asiatico – Cina, Taiwan, Corea, Thailandia – oggi la natalità  è al livello europeo. In India è ancora elevata, soprattutto nel nord, con un aggiustamento della natalità  molto più lento che nella vicina Cina. E il mondo musulmano ha creato delle sorprese in questo campo, con transizioni fortissime, Iran in testa. L’Iran oggi ha una natalità  simile a quella del mondo europeo di trent’anni fa: al di là  di una ideologia che tende ancora a subordinare la donna, si sono fatti passi enormi e quindi anche nel mondo musulmano c’è una grande varietà  di situazioni: altissima natalità  nella penisola arabica, comportamenti “moderni” altrove . Anche nel Nord-Africa, Tunisia, Marocco, Algeria, hanno ormai tassi di natalità  moderati; l’Egitto un po’ meno, la Turchia è ai livelli dell’Europa di trent’anni fa. Così in Sudamerica: ci sono paesi, come il Brasile, dove la natalità  è caduta sotto i due figli per donna.
E tuttavia le previsioni mi pare annuncino un miliardo di persone in più entro questo secolo.
No, no, di più. Previsioni abbastanza plausibili parlano di un paio di miliardi in più verso il 2050. Dopodiché dovrebbe esserci una certa stazionarietà . E comunque la crescita dovrebbe rallentare fortemente dopo la metà  del secolo, e raggiungere un’approssimativa stazionarietà , attorno ai 10 miliardi, alle soglie del XXII secolo.
Molti specialisti della materia sono preoccupati perché il processo comporterà  un invecchiamento della popolazione.
Tutto dipende dai modi in cui il processo si verifica. Se il calo delle nascite è troppo rapido, si arriva a livelli di invecchiamento eccessivo della popolazione. Vedi il caso del Giappone dagli anni ’50 in poi. Per 20-30 anni il paese ha tratto notevoli vantaggi dalla fortissima riduzione della natalità , poi il vantaggio si è capovolto, con il rapido invecchiamento della popolazione complessiva. Che è quanto sta accadendo ora in Cina, creando problemi sociali enormi: aumentano rapidamente gli anziani, sprovvisti di protezione sociale, con scarso sostegno dai figli (o dal figlio unico), spesso emigrato lontano.
Forse bisogna però anche considerare il fatto che i vecchi sono più giovanili di una volta.
Questo è vero. E però, se cominci ad avere più ottantenni o novantenni che non ragazzi di dieci o quindici anni, è un problema non da poco. Tutto dipende dalle dimensioni dei fenomeni, e dalla loro velocità .
Il tema di questa inchiesta è “la crescita”, di solito calcolata in rapporto all’aumento del reddito, il famoso “Pil”, che ovviamente è correlato a tutta una serie di variabili, anche non direttamente identificabili con la produzione: tra cui la popolazione del mondo che, nel suo divenire, ne è certo per mille versi una determinante decisiva. Come sai, la crescita produttiva, data come obiettivo prioritario del nostro agire economico, s’è imposta come una sorta di vangelo, a cui tutti, secondo le loro possibilità , più o meno si attengono. Ma c’è un problema che in genere viene rimosso: la popolazione umana aumenta, e quindi aumentano i consumi individuali, mentre il mondo continua ad avere le stesse dimensioni. Per quanto si riesca a sfruttarlo al meglio, resta il fatto che il pianeta Terra appare sempre meno in grado di rispondere adeguatamente ai nostri bisogni: la crisi ecologica ne è la prova.
I fenomeni non vanno visti in maniera manichea. Sicuramente ci sono grossi problemi, in certe zone, connessi con la crescita demografica. Ci sono aree come il Bangladesh, popolate in maniera densissima, dove tutta la terra è stata messa sotto produzione e dove l’equilibrio ecologico è estremamente fragile e vulnerabile ad ulteriore crescita demografica. Oppure altre aree, nelle quali il popolamento avviene per intrusione, come ad esempio nel bacino amazzonico, di enorme valore ecologico, che risente pesantemente dell’aumento demografico. Sì, ci sono aree in sofferenza, comunque non lo vedrei come un problema globale. C’è invece, effettivamente, un problema globale per quanto riguarda i mutamenti climatici, l’effetto serra dell’attività  umana. Questi fenomeni possono sintetizzarsi col prodotto di tre variabili dell’equazione: PxAxT = I, e cioè “Popolazione per Affluenza per Tecnologia uguale Impatto ecologico”. Sicuramente, se si vuole contenere I, cioè l’impatto ecologico, occorre moderare la crescita demografica, cioè P: ma questa è in frenata (anche se vorremmo che la frenata fosse più rapida). Ma è la crescita di A, cioè dell’affluenza, cioè dei consumi, cioè della materie prime e dell’energia, che va moderata, con l’aiuto di T, ovvero della della tecnologia. Sono soprattutto A e T che giocano la partita!
A prescindere dalla tua specializzazione, hai certo una tua opinione sulla crescita produttiva illimitata, che oggi è l’asse portante dell’economia attuale: si deve crescere. Rimuovendo il fatto che tutto quello che noi produciamo, comperiamo, usiamo, tocchiamo, ecc. ecc. è “fatto” di natura. Un tavolo, un abito, un aereo, un computer… sono tutti “fatti” di natura; straordinariamente trasformati dalla tecnica umana, sono comunque frammenti del pianeta Terra: che è grande, ma ha dei limiti. Come pensarlo capace di alimentare una crescita produttiva illimitata, come quella che tutti invocano?
Ma il fatto è che tutti vogliono la crescita, nessuno vuole la depressione. Anche gli ecologisti più intransigenti sarebbero incerti se io gli prospettassi uno scenario di decrescita del 3 o 4 per cento all’anno. La crescita è il risultato di una serie di fattori: il lavoro umano, la materia prima, l’energia, la tecnologia, la conoscenza incorporata. Un euro di prodotto è la combinazione di questi fattori: la risposta non è quella di non produrre, ma di produrre con un mix vantaggioso di fattori.
Ma è anche il risultato di una logica economica data come una verità  di vangelo, e da nessuno praticamente messa in discussione…
A me non interessa la logica economica.
Purtroppo interessa molto a tutti quelli che “contano”. La Signora Marcegaglia invoca la «crescita» ogni tre parole.
Quello che a me interessa è ragionare su quale crescita. Io voglio una crescita nella quale contino sempre di più tecnologia e innovazione, e contino sempre di meno consumo di energia e di materia prima. Una crescita così avrebbe un impatto scarso, mentre invece una crescita che richiede tantissima materia prima, tantissima energia è una crescita che comporta un’impronta ecologica fortissima. Insomma la crescita io non la considero un tabù.Ma è ancora peggio considerarla il peccato originale! Mi interessa discutere su “quale” crescita, mentre la discussione teologica su crescita sì-crescita-no non m’interessa per niente.
Forse però occorrerebbe ascoltare anche la comunità  scientifica mondiale, che a larga maggioranza accusa la crescente insostenibilità  ecologica dei comportamenti umani. Per fare un solo esempio, a fine agosto scorso il famoso “Human Footprint Institute” annunciava che l’umanità  aveva già  consumato quanto, per non danneggiare gravemente gli ecosistemi, le sarebbe stato consentito consumare entro l’intero anno. E ricordava che lo sfasamento aumenta ogni anno…
Quanto dici ci riporta al discorso precedente. Con in più un’altra considerazione da fare. Metà  della popolazione vive deprivata di quelle elementari risorse che rendono vivibile la vita (e a noi sembra impossibile che possa essere vissuta in quelle condizioni!). Quelle elementari risorse sono, appunto, beni che contengono molta materia prima e molta energia per essere prodotti: un utensile di acciaio, una bicicletta, un motore a scoppio per pompare l’acqua, un trattore per arare, cemento e mattoni per darsi un tetto… cibo per nutrirsi, gasolio per riscaldarsi. E se questi miliardi di persone debbono sollevarsi dalla povertà  occorrerà  che si forniscano di questi beni – tutti ad alto contenuto energetico e di materia prima, cioè con alto impatto ecologico. Noi ricchi possiamo anche in futuro “consumare” di meno, ma loro poveri, che sono tantissimi, vogliono e debbono consumare di più, molto di più.
Mi domando – e ti domando – se non si dovrebbe leggere il problema anche in un’altra chiave. Il nostro è un mondo in cui l’1% della popolazione detiene il 50% della ricchezza; in cui (secondo dati FAO) un miliardo di persone è sottoalimentato, mentre in Occidente più del 40% del cibo prodotto viene distrutto; in cui insomma la crescita del prodotto, se certo ha migliorato le condizioni di diversi popoli, non sembra però strumento capace di incidere sulla disuguaglianza come ineludibile proprietà  costitutiva della nostra società .
Vero. Però ricordo che un mondo in cui tutti, proprio tutti, fossero affamati, sarebbe un mondo senza disuguaglianze! Il gioco, quindi, è etico e politico assieme: in che misura si può sostenere la crescita – per sfamare gli affamati – senza creare disuguaglianze barbare e insostenibili? In che modo attenuare e sconfiggere le disuguaglianze senza compromettere quella crescita la cui mancanza rischia di accentuare le disuguaglianze stesse? La Cuba egualitaria del castrismo ha trattenuto in livellatrice povertà  dieci milioni di persone per 60 anni. Credo che si debba fare esercizio di grande umiltà , realismo storico e molta analisi scientifica per risolvere questi problemi.
Come valuti il comportamento della tua disciplina in presenza del problema ecologico? Ti pare che la scienza demografica si assuma adeguatamente le responsabilità  che, sia pure certo in maniera indiretta e mediata, non possono non appartenerle?
Ho una risposta su due livelli. Da un lato le conoscenze scientifiche sui sistemi demografici, sulla relazione tra sopravvivenza, riproduttività  e mobilità  col mondo fisico e sociale, sono enormemente cresciute, e con queste la capacità  di inserire i temi della demografia in un quadro generale. La consapevolezza cioè che la demografia è parte integrante di un sistema. Su un altro piano, la demografia come molte altre scienze umane empiriche, rischia di sperdersi nei propri tecnicismi – o meglio, di specchiarsi troppo nei propri tecnicismi – perdendo di vista il contesto, il mondo intorno, gli apporti di altre discipline. Si rischia di conoscere tantissimo sul piccolo particolare, e di trascurare il quadro generale. E’ una malattia di cui soffrono in maniera acuta altre discipline – per esempio l’economia: la demografia ha la fortuna di occuparsi di nati, morti, migranti, famiglie, genere, ciclo di vita – argomenti che riportano sempre al cuore dei problemi dell’umanità . Sicuramente si può fare molto di più, ma è anche vero che la disciplina è viva e cosciente.

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