Obama: “Ora basta con le guerre riprendiamoci il Sogno americano”

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NEW YORK – Le reazioni dei politici sono pavloviane. A destra il falco John McCain critica un «ritiro prematuro dall’Afghanistan, pericoloso per la nostra sicurezza». A sinistra la democratica Nancy Pelosi promette che al Congresso continuerà  la battaglia «per un rientro più veloce delle truppe», ricordando che al termine dei ritiri annunciati da Obama resteranno al fronte «68.000 soldati cioè il doppio di quanti ce n’erano quando lui divenne presidente». Sono altre le reazioni più significative.

Il giorno dopo l’annuncio di Obama – via 10.000 soldati quest’anno, 33.000 in tutto saranno a casa entro il settembre 2012 – l’atmosfera è da fine di un’era. Le frasi che hanno più colpito, nei 14 minuti di discorso dalla Casa Bianca, sono i passaggi che tradiscono un’America esausta di guerre, che deve rinunciare ai ruoli neoimperiali. Più del bilancio delle vittime (1.600 morti in Afghanistan, solo tra i soldati Usa) Obama ha sottolineato il costo: «In un decennio abbiamo speso mille miliardi per la guerra, durante un periodo duro, di difficoltà  economiche e debiti crescenti. Mettiamo un termine, responsabilmente, a queste guerre, e riprendiamoci il Sogno americano. Se c’è una nazione da ricostruire, è la nostra». Sul Washington Post, Marc Thiessen osserva: «In quel discorso non compare una sola volta la parola vittoria o successo. Questo non è il discorso di chi ha vinto ma di chi si ritira». Gli fa eco il Wall Street Journal: «Non invidiamo il generale John Allen che quest’estate sostituirà  David Petraeus alla guida delle forze Nato in Afghanistan, dovrà  proteggere i territori ripresi ai Taliban e contrastare il loro ritorno, mentre gestisce una ritirata. La decisione del presidente è politica non militare. Ce ne andiamo prima che la guerra sia finita».
Nel coro dei commenti c’è l’angoscia del declino; c’è una nazione stremata dal debito pubblico ai massimi secolari; la sindrome da “overstretch” cioè la dilatazione dei costi di una politica neoimperiale. Aleggia il pensiero che senza combattere una sola guerra da trent’anni la Cina insidia l’influenza occidentale in tante parti del mondo. Obama ricorda che «l’America è stata davvero forte solo quando era in grado di creare opportunità  in patria, per i suoi cittadini».
Che i termini del ritiro non siano stati dettati da criteri strategici, lo ammette implicitamente il più autorevole dei militari, l’ammiraglio Mike Mullen presidente del Joint Chiefs of Staff. All’indomani del discorso di Obama l’ammiraglio viene interrogato dalla Camera e riconosce che «le decisioni del presidente comportano più rischi di quelli che io ero preparato ad accettare originariamente». Anche Hillary Clinton parla al Congresso, difende disciplinatamente l’annuncio di Obama ma è noto che stava con i generali e avrebbe voluto un ritiro più lento. Il Pentagono ha perso, ne è convinto l’esperto geostrategico David Ignatius: «Per la prima volta Obama diventa a tutti gli effetti il comandante supremo delle forze armate in questa guerra, sceglie da solo». In contrasto con quel che accadde nel 2009: allora si era sentito manipolato dai generali nel dibattito interno che sfociò nell’escalation, oggi è Petraeus a definire «troppo aggressivo» il ritmo del ritiro.
Il problema vero lo tocca indirettamente la Clinton quando al Congresso esalta «i progressi nelle scuole afgane, i 6 milioni di bambini scolarizzati in più rispetto ai tempi dei Taliban». Sono passate 48 ore da quando la conferenza dei sindaci Usa ha lanciato un appello a Obama: «I 126 miliardi di dollari spesi in Afghanistan sono disperatamente necessari qui, le amministrazioni locali hanno licenziato 446.000 dipendenti dal 2008, insegnanti, poliziotti, vigili del fuoco. Ponti e autostrade mancano a Baltimora e Kansas City, mentre costruiamo infrastrutture a Bagdad e Kandahar». Un simile appello dei sindaci ci fu solo all’epoca del Vietnam: ma quella guerra aveva fatto 50.000 morti americani. Richard Cohen sul Washington Post coglie il mood del momento: «Il secolo americano ora è davvero finito. Obama ha riconosciuto che la nostra potenza ha raggiunto il limite. Non è conclusa la guerra, siamo finiti noi. Questo è stato il vero tema del discorso: la borsa è vuota, siamo alla bancarotta, e la nazione è stanca».


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