by Editore | 4 Giugno 2011 7:27
TOLEDO (OHIO) – «L’industria americana è tornata» urla Barack Obama alle centinaia di operai della Chrysler che portano sulle spalle il peso della ripresa: e quella scritta, “Thank You!”, che campeggia sulla maglietta rossa. Sergio Marchionne ha tenuto per tutto il discorso il mento bene appoggiato sulla mano chiusa a pugno, il braccio a gomito: ma adesso è in piedi anche lui. «Sono fiero di quello che avete fatto» sta dicendo Barack che è venuto fin qui a incassare gli applausi per il bailout: il salvataggio «che ha rimesso in piedi l’industria dell’auto». Chiamalo fiero: «Chrysler ha restituito fino all’ultimo centesimo» dice. Se è per questo Marchionne (che ha distribuito agli operai una spilletta che strilla: “Pagato”) ha fatto anche di più: comprando dal Tesoro Usa quel 6 per cento che ha portato alla Fiat la maggioranza del mito made in Usa. Cinquecento milioni di dollari: ok, il prezzo è giusto? «Ogni volta che compri qualcosa ti sembra di averla pagata troppo» dice l’ad di Fiat e Chrysler. Si scherza: anche quando compra i suoi maglioncini? «Anche allora…. «.
L’insostenibile leggerezza dell’essere tra i due mondi. Marchionne ha tutto il diritto di celebrare: anche se adesso frena quando gli chiedono di quanto tornerà in Borsa. «La Fiat ha abbastanza risorse per conquistare la quota ancora in mano ai sindacati Usa e al governo canadese». E quindi «tecnicamente non ha bisogno» di passare dal mercato. Del resto conviene aspettare «tempi migliori». Appunto: chi glielo dice all’amico Barack che per celebrare la sua “scommessa” ha scelto invece il giorno sbagliato? Per carità . C’è davvero un’America che si rialza dalla recessione: e ha il volto di James Feyson. Trentasei anni, 14 passati in questo stabilimento, “James the Jeep Worker” era stato licenziato nel 2009 ed è stato riassunto «soltanto grazie alla decisione di Obama di salvare il mondo dell’auto». Ma c’è anche l’America che ancora arranca: l’indice di disoccupazione a maggio torna a toccare pericolosamente il 9,1 per cento rispetto al 9 per cento di aprile. Un americano su dieci è ancora a casa. A chi credere?
James the Jeep Worker non sta nella pelle dalla gioia per essere tornato a far parte della famiglia: questo stabilimento da 1763 dipendenti. La sua storia, ora, diventerà anche uno spot, e per questo il nuovo volto della “speranza” obamiana dice di «non aver dormito la notte». E come dorme Barack?
L’amministrazione snocciola i numeri: gli 80 miliardi di bailout hanno salvato almeno un milione di posti di lavoro malgrado «quella gente lì a Washington» continuasse a dire “no we can’t”. L’amministrazione Usa aveva messo in conto di recuperarne la metà : e invece “a perdere” finiranno solo 16 miliardi. Di più: il salvataggio ha fatto tornare – da Chrylser a Gm – le società in utile: e permesso l’assunzione di 115mila persone a fronte dei 400mila licenziamenti. Insomma altro che statalismo, socialismo e fascismo: secondo l’imbarazzante sequenza di etichette appiccicate ai salvataggi dai leader della destra – compresi quei “moderati” come Mitt Romney e Tim Pawlenty che oggi lanciano la sfida della Casa Bianca.
Obama ha ragione da vendere, qui, con la disoccupazione sotto la media nazionale: 8,6 per cento. Questa è una regione chiave per la rielezione. Questo è lo stato che lui stesso strappò tre anni fa ai repubblicani – e non per caso da quando è salito a Washington l’ha già visitato 14 volte. Laurie Clzapinski, ingegnere qui all’impianto sforna-jeep, quando ripensa a due anni fa rivede «l’incubo di perdere il lavoro», lei «madre single di quattro figli». E invece oggi è «straordinariamente orgogliosa» dell’aiuto di Barack e «del lavoro fatto da Marchionne». Perché anche questo andrebbe detto. Dietro alla catena di montaggio bloccata per l’occasione – le jeep ancora da assemblare in bella mostra – campeggia la bandiera a stelle e strisce: ma qui non si lavora anche grazie al tricolore? «Per me questa unione con la Fiat è una eccellente opportunità » dice Dave Askew, 32 anni, che è entrato nel 2004 e in quei giorni bui di due anni fa (proprio il 10 giugno 2009 Chrisler va in bancarotta) continuava a pensare: «La settimana prossima tocca a me».
Non è toccata a lui. Ma senza mai citare i conti neri del lavoro, che fanno affossare Wall Street per la quinta settimana consecutiva, ora Obama ammette: «Non pretendo di sostenere che tutto sia stato risolto. Ci saranno ancora buche sulla strada della ripresa. E dovremo attraversare terreni su cui perfino una di queste fantastiche jeep avrebbe difficoltà ». I repubblicani laggiù a Washington dicono che la colpa è sua. Ma la Casa Bianca sostiene che perfino l’allarme di Moody’s che minaccia il declassamento “è una spinta a trovare quell’accordo sul deficit». Il Gop fa ostruzione: l’unico cedimento che Barack ha fin qui strappato è l’invito, accettato, a vedersi sul campo di golf con lo speaker John Boehner, il prossimo 18 giugno. Ma intanto? Per giustificare l’affanno dell’economia adesso il presidente elenca «il prezzo del petrolio, il disastro giapponese, l’instabilità del Medio Oriente». Manca solo che dia la colpa al paio di hot dogs – “al peperonicno con cipolla” dice tra le risate degli operai di qui – che ha mangiato in paese dal mitico Rudy’s. «Ho dovuto mandare giù un digestivo» scherza. Bastasse un alka seltzer per mandar giù anche quei maledettissimi numeri.
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