Offensiva di Gheddafi su Misurata. La Nato agli alleati: più impegno

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BRUXELLES – Mentre la Nato non riesce a trovare nuovi membri dell’Alleanza disposti a contribuire alle azioni militari in Libia, il regime di Gheddafi passa alla controffensiva. Ieri, dopo che il Colonnello aveva sfidato l’Occidente escludendo ogni ipotesi di resa o di fuga, le truppe fedeli al raìs hanno ammassato migliaia di uomini alla periferia di Misurata e hanno sottoposto l’enclave degli insorti ad un pesante bombardamento che avrebbe provocato la morte di almeno dodici difensori.
L’offensiva delle forze filo-Gheddafi segue di poche ore uno dei più pesanti bombardamenti che la Nato abbia effettuato su Tripoli, prendendo di mira il quartier generale del Colonnello. Secondo il portavoce del regime, gli aerei dell’Alleanza avrebbero sganciato almeno una sessantina di bombe, facendo una trentina di morti tra i civili. Bruxelles tuttavia non ha confermato queste cifre, dicendosi comunque addolorata per le eventuali perdite tra la popolazione della capitale.
Se la situazione di stallo sul terreno non sembra destinata a modificarsi rapidamente, il clima politico in seno all’Alleanza comincia a farsi pesante. Il Consiglio atlantico ha da poco deciso il prolungamento di altri novanta giorni della missione Unified Protector. E ieri i ministri hanno confermato il loro impegno a continuare le operazioni «fino a che sarà  necessario». Ma l’onere, al momento, grava su un numero ristretto di Paesi. E la prospettiva di un impegno militare di lunga durata ha spinto il segretario generale Anders Fogh Rasmussen, a sollecitare un impegno più concreto da parte di quelle capitali che finora sono rimaste a guardare. «Per quanto riguarda la Libia, vorremmo vedere un maggior impegno in alcune cancellerie», ha detto Rasmussen, aggiungendo che «il problema non è se Gheddafi debba andarsene, ma solo quando questo succederà ».
Anche il segretario americano alla Difesa, Robert Gates, ieri ha fatto pressioni sugli alleati perché aumentino il loro impegno. E ha citato esplicitamente la Spagna, l’Olanda e la Turchia tra i Paesi che potrebbero fare di più. Secondo alcune fonti, anche la Germania e la Polonia, due “grandi” che non partecipano in alcun modo alle operazioni, sarebbero sotto pressione per dare il loro contributo. Dei 28 membri della Nato, solo otto prendono parte attiva ai bombardamenti contro le truppe di Gheddafi: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Belgio, Canada, Danimarca e Norvegia. L’Olanda e la Spagna partecipano alla no-fly zone, ma non conducono operazioni di attacco al suolo. Svezia, Quatar ed Emirati arabi, che non fanno parte della Nato, collaborano all’operazione, ma solo gli Emirati hanno accettato di bombardare. Tuttavia, nonostante le pressioni, per ora nessuno ha deciso di modificare il proprio atteggiamento e condividere l’onere delle missioni.
Il ministro La Russa, che rappresentava l’Italia alla riunione, ha confermato che esiste una richiesta della Nato di aumentare i contributi a Unified Protector. Ma ha aggiunto che queste pressioni non riguardano il nostro Paese: «All’Italia nessuno ha chiesto e chiede di fare di più di quanto sta già  facendo», ha spiegato, aggiungendo che gli elicotteri italiani non parteciperanno alle operazioni in Libia, dove sono già  impegnati quelli francesi e britannici. «I nostri preferiamo mantenerli il più possibile in Afghanistan dove hanno per noi un ruolo tattico molto importante».


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