Quando il boss prende la valigia ecco la mafia d’esportazione

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Ora Federico Varese pubblica un libro in Italia dopo aver pubblicato molto in Gran Bretagna. Un saggio disciplinato, complesso, un’opera scientifica: Mafie in movimento (Einaudi). Si tratta di un’analisi profonda sul trapianto delle mafie fuori dai propri territori di origine. Fuori da quelli che vengono comunemente percepiti, con superficialità , come i loro confini “naturali”. Nel luglio 2010 la maxi-operazione denominata Il Crimine, condotta da Polizia e Carabinieri all’interno dell’indagine coordinata dalle Procure di Milano e di Reggio Calabria, portò a 300 ordinanze di custodia cautelare contro boss riconosciuti e presunti affiliati della ‘ndrangheta, di cui 160 in Lombardia.
E all’individuazione di almeno 15 «locali» lombardi. L’eccezionalità  di quest’operazione non risiede solo nel numero di persone coinvolte nell’attività  criminale, ma soprattutto dalle zone nelle quali molte di queste persone operavano. Non Platì, San Luca, Reggio Calabria, Marina di Gioiosa Ionica, nomi che siamo abituati a sentire quando si parla di ‘ndrangheta. Ma Milano, Bollate, Cormano, Rho, Pioltello, Erba. Città  e paesi di quel Nord che si è sempre sentito immune. Che ci hanno sempre fatto credere fosse immune.
Se in Calabria rimane il vertice direttivo, la Lombardia emerge come cuore economico dell’associazione: qui la ‘ndrangheta è riuscita a ricreare una struttura parallela, dotata di un alto grado di autonomia d’azione. L’Operazione Il Crimine ha totalmente ribaltato l’assioma secondo cui la mafia è frutto della «cultura» del Meridione e che il trapianto mafioso fosse impossibile in zone con un alto tasso di civismo e di «capitale sociale». Ha dimostrato l’ingenuità  della convinzione che il soggiorno obbligato sarebbe bastato a redimere i mafiosi.
Ma nessun territorio è immune dalle infiltrazioni, perché la mafia non è una malattia, è un sistema economico e non si eredita come una tara familiare e non si cura con aria di mare come una polmonite. Come spiegarsi altrimenti ciò che è accaduto a Bardonecchia, l’operoso comune piemontese, sciolto per mafia nel 1995?
Dati questi precedenti, e soprattutto adesso, nell’era della globalizzazione e della «società  liquida» si sarebbe portati a pensare che anche per le organizzazioni criminali sia più facile espandersi e andare oltre i propri confini. In realtà , questa tesi, che vale certamente per un’impresa legale, non è così scontata quando si parla di imprese illegali. Anzi, gli studiosi di criminalità  hanno sempre considerato le mafie stanziali, fortemente radicate nel territorio che governano. È Machiavelli a ricordare che il Principe deve risiedere fra la sua gente. E non dimenticherò mai quanto mi disse Maurizio Prestieri, boss della camorra attualmente collaboratore di giustizia.
«Io lo dico sempre: non dovevamo essere Vip, ma Vipl». Vipl? Chiedo. E cioè? «Sì la L sta per Local». Very Important Person, Local! L’importante è essere importanti solo nel recinto.
Per quanto un’organizzazione possa essere potente, infatti, il trapianto in un territorio altro sarà  reso arduo dalla difficoltà  del boss di controllare i suoi affiliati che operano lontano, dalla difficoltà  di creare nel nuovo territorio una rete solida di complici e soprattutto dalla difficoltà  per il mafioso di crearsi quella stessa «reputazione» che in patria gli permette di essere temuto e rispettato, di essere, appunto, un VIPL. Quindi la decisione di invadere mercati distanti molto spesso non avviene «a tavolino», ma è il risultato di pressioni esterne o interne al gruppo criminale. I mafiosi emigrano perché ricercati dalla giustizia, per salvarsi da faide, perché obbligati al soggiorno in un territorio lontano dal proprio. Le organizzazioni, penso ai casalesi in Emilia Romagna e Spagna o agli ‘ndranghetisti in Portogallo, si spostano anche laddove il capitale li porta, ma la dinamica che osserva Varese ha diversa natura.
Fu il soggiorno obbligato che portò i calabresi del clan Mazzaferro, tra gli anni ’50 e ’70, a trasferirsi a Bardonecchia e a radicarsi qui con la propria organizzazione, arrivando non solo a controllare il settore edile, ma anche a infiltrarsi nella politica locale. E perché il trapianto avvenisse, però, fu determinante la presenza di un fattore fondamentale: la domanda di protezione criminale.
Negli anni ’60, quando i boss arrivarono a Bardonecchia per il soggiorno obbligato, il settore edile era in espansione e c’era bisogno di forza lavoro maggiore. Alcune aziende della zona cominciarono quindi a rivolgersi a «faccendieri» che procuravano manodopera del Sud presente a Torino ma che non riusciva a essere assorbita negli stabilimenti Fiat. Questi lavoratori non specializzati e privi di ogni tutela sindacale, pur di guadagnare accettavano occupazioni in nero e mal pagate. I boss calabresi cominciarono così a gestire il cosiddetto «racket delle braccia», un sistema di reclutamento che favoriva sia gli operai immigrati non sindacalizzati, sia le imprese edili della zona. Non solo: trattandosi di lavoro nero, questa mafia era in grado di assicurare anche la soluzione a eventuali conflitti tra dipendenti e datori di lavoro. Un’indagine della Commissione parlamentare antimafia che visitò la zona nel 1974, stimò che l’80% della forza lavoro a Bardonecchia veniva reclutata attraverso canali illegali. Rocco Lo Presti, boss di spicco della ‘ndrangheta, il primo ad essere mandato al soggiorno obbligato al Nord, era riuscito a diventare il principale fornitore abusivo di manodopera a buon mercato nella zona, e aveva attirato a Bardonecchia imprese di costruzione dalla Calabria, che presto riuscirono a sbaragliare la concorrenza delle ditte piemontesi. Il controllo sul territorio consentì al gruppo criminale di diversificare i propri interessi e di proteggere altre attività  illegali, come il traffico d’armi e di droga e il riciclaggio di denaro. L’ultimo passo fu condizionare la politica e la reazione della società  civile non fu sufficiente a impedirlo. Le mafie vincono quando tutti ci guadagnano.
A Verona, invece, il soggiorno obbligato non ha avuto gli stessi effetti. Con un’economia basata principalmente sull’esportazione di prodotti artigianali, c’era minore domanda di protezione criminale perché la mafia non può aiutare gli esportatori a penetrare mercati lontani. L’unico «servizio» che i calabresi potevano fornire agli imprenditori veronesi era quindi la semplice estorsione o il furto di camion carichi di mobili.
La ‘ndrangheta cercò allora di prendere il controllo dell’unico mercato illegale di una certa rilevanza presente a Verona in quegli anni: il consumo e il traffico di eroina. Famosa in tutta Italia per la «veronese», la più economica e la più pura, la città  veneta era diventata la «Bangkok d’Italia».
Il traffico era gestito da spacciatori locali non legati alla mafia, spesso imprenditori insospettabili, che avevano rapporti ormai consolidati con i fornitori e di fiducia con i clienti, ma soprattutto applicavano a questo mercato le medesime norme di correttezza commerciale che caratterizzavano i settori legali dell’economia. Non c’era quindi bisogno di affidarsi a terzi per far rispettare i patti. La droga la gestivano gli imprenditori veronesi e non c’era spazio per le colonie ‘ndranghetiste a meno che non decidessero di intraprendere una guerra.
Ecco allora che la domanda di protezione diventa un fattore determinante per la riuscita del trapianto delle mafie. Domanda connaturata ai mercati illegali, ma spesso presente anche in quelli legali, dove lo Stato, per vari motivi, non è in grado di proteggere i propri cittadini, di risolvere le dispute economiche e commerciali e di far rispettare i patti. In questo caso le parti saranno più propense a rivolgersi a un’autorità  «altra» che fornisca protezione alternativa a quella del diritto.
In altri casi la domanda di protezione può scaturire da politiche protezioniste, come accadde agli inizi del ‘900 a New York con le cosiddette «riforme Gaynor». Si tentò di bloccare la prostituzione, il gioco d’azzardo, il consumo notturno di alcolici e, successivamente, la produzione, la vendita e il trasporto di alcolici e ciò favorì la nascita di un mercato illegale milionario perché quei settori, estremamente redditizi, erano d’improvviso rimasti senza protezione. La mafia siciliana presente a New York fu pronta a intervenire, si espanse e cominciò ad affrancarsi anche dalla madrepatria siciliana.
In quello stesso periodo, alcuni conterranei in cerca della stessa fortuna e in fuga dalle stesse minacce, scelsero di emigrare in Argentina, a Rosario. Una città  che, per il boom edilizio pareva rappresentare un’ottima opportunità  di affari. Ma il mercato della manodopera a buon mercato era già  gestito da impresari che procuravano operai alle aziende edili nel rispetto delle regole e quindi non si creò il bisogno di risolvere le dispute al di fuori della legge. Inoltre l’attivismo sindacale veniva represso con duri interventi degli apparati statali e ai mafiosi non veniva lasciato nemmeno il compito di punire i sindacalisti e gli scioperanti. In aggiunta, in città  non esistevano mercati illegali significativi sui quali poter esercitare un controllo.
Dall’analisi di Federico Varese risulta che la sola presenza di mafiosi non è condizione sufficiente perché le organizzazioni criminali si possano radicare in luoghi diversi da quelli in cui sono nate. È essenziale perché questo avvenga che esista una domanda di protezione, è essenziale che lo Stato sia incapace di far rispettare i diritti dei propri cittadini.
Quindi fa danno enorme ritenere le mafie legate unicamente ai propri, marginali, paesi di origine. Fa danno al nord Italia e ai paesi europei considerarsi immuni. Fa danno porre l’attenzione sull’aspetto repressivo e non sulle riforme economiche e di sistema che renderebbero i mercati nazionali immuni ai capitali criminali.
Quando un territorio è minacciato dalla presenza mafiosa, quando ne è invaso, soprattutto se si tratta di paesi in fase di sviluppo, la politica diventa decisiva, al Sud come al Nord, ad Est come ad Ovest, ovunque. E conoscere i fattori che facilitano l’espansione delle mafie, liberarsi da pregiudizi e paraocchi, è un passo fondamentale per combatterle.


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