Quegli omissis nei verbali e gli ufficiali sotto accusa

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ROMA — Sono gli «omissis» contenuti nei verbali a confermare come l’inchiesta sulle «talpe» interne alla Guardia di Finanza sia soltanto all’inizio. Perché oltre al capo di stato di maggiore Michele Adinolfi ci sono almeno altri due alti ufficiali sospettati di aver passato notizie sulle indagini in corso. Non solo. Un nuovo filone si è aperto e i pubblici ministeri Henry John Woodcock e Francesco Curcio hanno potuto contare sulle conferme fornite da Marco Milanese, l’ex ufficiale poi eletto parlamentare del Pdl e fino a ieri consigliere politico del ministro, delle Finanze Giulio Tremonti. Indagato per corruzione e illecito finanziamento ai partiti in un’altra indagine, Milanese è stato ascoltato già  due volte come testimone. E la frase sibillina pronunciata dal suo avvocato Bruno Larosa quando gli si chiede se si possa parlare di una collaborazione — «sta facendo il suo dovere di cittadino» — sembra dimostrare che abbia fornito qualcosa in più dei chiarimenti richiesti. I racconti del parlamentare sui finanzieri Milanese viene interrogato un paio di mesi fa. Il suo nome è noto ai magistrati di Napoli e di Roma che lo accusano di aver utilizzato la propria influenza per orientare le nomine ai vertici di società  e per far assegnare appalti ad alcune aziende che in cambio erano disponibili a versargli tangenti. Gli viene chiesto se è a conoscenza che Bisignani fosse stato informato che c’erano indagini sul suo conto. E lui dichiara: «Durante una cena il generale Adinolfi mi disse di aver chiesto a Pippo Marra, direttore dell’agenzia di stampa Adn Kronos, di avvisare Bisignani» . La versione fornita dal diretto interessato, alla presenza dei suoi legali Fabio Lattanzi e Gianpiero Pirolo, è diversa: «Marra mi chiamò per una vicenda completamente diversa e mi disse: non parlare al telefono, stop. Dopodiché io ne parlai con l’onorevole Milanese che dopo un po’ mi disse che avevo il telefono… per via dell’inchiesta sui Casalesi, su un certo Schiavone…» . Versioni divergenti anche quando si è deciso di convocare Adinolfi come indagato e metterlo a confronto proprio con Milanese. Il capo di stato maggiore ha negato con veemenza di aver mai parlato dell’indagine in corso: «Chi mi accusa mente» , ha ribadito anche ieri. In realtà , di fronte a Woodcock e Curcio, Milanese avrebbe confermato pure quanto era emerso su altre vicende che coinvolgono i vertici delle Fiamme Gialle fornendo nuovi dettagli e spianando la strada a ulteriori verifiche. Un atteggiamento di apertura che negli uffici giudiziari viene interpretato come il tentativo di alleggerire la propria posizione processuale. In questo quadro si inserirebbero anche i racconti della sua compagna Manuela Bravi, la portavoce del ministro, che ha confermato di aver partecipato ad almeno due cene durante le quali si parlava di «informatori» della Guardia di Finanza. E di aver ottenuto conferma anche dal direttore del Poligrafico dello Stato Roberto Mazzei. «Il Mazzei, commentando le notizie pubblicate su Bisignani— ha dichiarato a verbale la donna — mi disse espressamente che vi era un appartenente e più precisamente un ufficiale (non ricordo se maggiore o capitano) alla Guardia di Finanza di Napoli che passava notizie» . Gli accertamenti svolti in seguito avrebbero consentito di individuarlo e di verificare anche le altre dichiarazioni della coppia. «Al mio cliente — si limita a spiegare il difensore di Milanese — sono stati chiesti chiarimenti su alcuni episodi emersi nel corso dell’inchiesta e lui ha raccontato quanto era a sua conoscenza. Lo stesso ha fatto la signora Bravi» . Quanto basta per ritenere che ulteriori sviluppi possano arrivare nei prossimi giorni su questi due filoni che ormai corrono paralleli. I nomi «secretati» e le soffiate Il generale Adinolfi non è l’unico ad essere sospettato di aver fornito notizie sulle indagini. Esiste un verbale di Bisignani, quando ancora non era stato arrestato, che è stato quasi interamente coperto dal segreto. E riguarda proprio le «soffiate» . Soltanto una frase è rimasta «in chiaro» e conferma come uno dei fascicoli «svelati» sarebbe stato quello che riguardava il sottosegretario alla Presidenza Gianni Letta e l’imprenditore Chiorazzo per le convenzioni sui centri per immigrati avviato dai magistrati di Lagonegro e poi in parte trasferito alla procura di Roma. È scritto nel verbale di Bisignani: «Vi dico che anche con riferimento alla vicenda che ha riguardato Chiorazzo (della Cascina e dell’Auxilium) e omissis vicenda giudiziaria omissis, il Papa mi disse di essersi informato e di aver acquisito informazioni attraverso omissis che era a suo dire una delle “fonti”omissis» . È appunto sulle «fonti» di Bisignani e del suo presunto sodale Alfonso Papa— l’ex magistrato e ora parlamentare del Pdl per il quale è stato sollecitato l’arresto alla Camera— che si concentra questa fase dell’indagine. Ma anche sulla catena di comando interna alla Finanza che consente la veicolazione delle informazioni. Partendo proprio dall’episodio che coinvolge Adinolfi. Ad informarlo che un’indagine era stata avviata sarebbe stato Vito Bardi, comandante interregionale per l’Italia del Sud che è stato indagato per rivelazione del segreto d’ufficio. L’alto ufficiale nega la circostanza, annuncia denunce per calunnia. In ogni caso si dovrà  stabilire se gli ufficiali sono tenuti alla riservatezza o se invece la loro gerarchia li obblighi ad informare i superiori sulle deleghe ottenute dall’autorità  giudiziaria.


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