Rimesse, nel 2015 arriveranno a 17 miliardi

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ROMA – “Ben l’80% dei migranti effettua rimesse verso i paesi di origine: per il 2015 ne stimiamo pari a 17 miliardi di euro, in paesi destinatari che hanno tuttavia una scarsa bancarizzazione”. L’opzione “più realistica per le banche italiane è cercare controparti all’estero, con costi e rischi, perché operano con una regolamentazione diversa e in situazioni instabili rispetto all’Italia”. Lo ha evidenziato stamattina Luca Luzzio, del Servizio marketing e innovazione dell’Istituto centrale delle Banche popolari italiane,durante il convegno “Immigrati e inclusione finanziaria: fatti e prospettive in un contesto che cambia”, promosso da Abi e Cespi a Palazzo Altieri. “Il business delle rimesse è ancora in mano soprattutto a money-transfer operator, senza intermediazione con sistemi standardizzati”, ha aggiunto Luzzio, riferendo che nel 2009 l’Istituto centrale delle Banche popolari ha stipulato un accordo con Western Union, “perché l’ipotesi realistica del medio termine è la collaborazione con i money-transfer”.

Basilio Toth, capo dell’Ufficio finanziario e co-facilitatore G20 per le rimesse, della Direzione generale per la mondializzazione e le questioni globali presso il ministero degli Affari esteri, ha ricordato che l’Italia “è il quinto paese al mondo per quantità  di rimesse inviate”, menzionando “l’iniziativa italiana per la riduzione del costo medio-globale di invio delle rimesse dall’attuale 10% al 5% entro il 2014, considerata di eccellenza a livello internazionale e lanciata dalla Dichiarazione 134 del G8 svoltosi nel 2009 a L’Aquila”. In alcuni paesi, ha ricordato, le rimesse costituiscono “il 35% del Pil, come in Tonga, oltre 20% in Libano, Leshoto, Moldova; oltre il 10% nelle Filippine e circa il 10% in Senegal. Siamo contrari alla tassazione delle rimesse nei paesi d’origine: più del 54% delle rimesse sono inviate da paesi G20 e oltre il 46% degli stessi paesi le ricevono (tra i principali, Cina, India, Messico)”.

“Con il ministero degli Esteri abbiamo avviato 15 accordi diplomatici, anche per facilitare la gestione delle rimesse e delle politiche di rientro dei migranti”, ha sottolineato Natale Forlani, direttore generale dell’immigrazione al ministero del Lavoro e delle politiche sociali, aggiungendo: “Le distanze tra noi agli altri paesi che hanno una quota superiore al 7% di immigrati sono minime; buoni gli indicatori rispetto all’accesso dei migranti ai servizi finanziari”. Inoltre Forlani ha notato: “Le nostre reti sociali ed economiche hanno avuto la capacità  di metabolizzare 2 milioni e 300mila lavoratori immigrati: abbiamo un mercato del lavoro immigrato, che hanno richiamato in Italia famiglie con i ricongiungimenti”. Non bastano, però, “i progettini: mille iniziative di microcredito non fanno il microcredito in Italia. Occorre rafforzare il privato sociale e le reti sociali e territoriali, che devono essere il modello italiano dell’integrazione”. 

“I migranti cercano di contenere i costi coabitando con altri connazionali”. Inoltre la difficile congiuntura economica “ha inciso anche sulla formazione”, ha rilevato Flavio Zanonato, sindaco di Padova, delegato nazionale immigrazione Anci. “Durante la crisi, gli immigrati sono stati maggiormente toccati con un calo dell’occupazione del 4%, mentre per gli italiani la percentuale si attesta intorno all’1,5%”, ha detto PaoloSestito, vice caposervizio del Servizio studi di struttura economica e finanziaria della Banca d’Italia, stigmatizzando il fatto che i migranti lavoratori “hanno in media stipendi più bassi rispetto agli italiani”. Risulta necessario, quindi, un affiancamento di “tutoraggio” degli immigrati nel loro approccio con le realtà  bancarie, ha auspicato Giuseppe Albeggiani, managing director dii Etnocom. (lab)


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