Risveglio italiano

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 Il notevole successo popolare, spontaneo, della campagna di raccolta delle firme per la legge regionale toscana sull’acqua di iniziativa popolare, poi per la legge nazionale e infine per i referendum, insieme alle lotte dei No Tav, contro il nucleare, del movimento viola, del movimento 5 stelle, dei Gas, di Altraeconomia, Altrafinanza, dei Comuni virtuosi, dimostrano che i cittadini italiani vogliono cessare di essere trattati come dei sudditi da mantenere tali grazie a un sistema nazionale di media asserviti e di proprietà  dei potenti. Non vogliono più essere ridotti a consumatori beati, a degli indivualisti profittatori (evasori, abusivi…), ma vogliono (ri)diventare cittadini nel pieno senso della parola.
La battaglia per l’acqua pubblica rivela che gli italiani non desiderano affatto ritornare allo Stato di prima, ma vogliono partecipare alla costruzione di un altro Stato, di una maniera differente di vivere e far funzionare i comuni, le province, le regioni. Vogliono un altro pubblico, giusto, efficace, trasparente, dove i cittadini sono partecipanti attivi. Quel che nei referendum (nucleare ed impedimento inclusi, ovviamente) è fonte di paura per i gruppi al potere (anche della sinistra autodefinitasi moderata) è proprio questo gran desiderio di voler essere cittadini.
Dopo quarant’anni di politiche che hanno deliberatamente distrutto il welfare non clientelare, in Italia soprattutto, il senso dello Stato e della comunità  «cittadina»; dopo quasi tre generazioni di giovani educati a considerare le istituzioni pubbliche – i comuni, le regioni, lo Stato – come degli enti inutili, dilapidatori delle risorse pubbliche; e dopo l’enorme propaganda ideologica che per anni ha fatto credere che solo l’impresa privata possiede le competenze e i saperi adeguati per gestire tutti i servizi pubblici detti «locali» e che solo la finanza privata dispone delle risorse per fare gli investimenti necessari, la voglia di essere cittadini rappresenta un fatto notevole, esplosivo. Si può dire che i referendum rappresentano il momento simbolico di una «rivoluzione dei cittadini» dal basso, come è accaduto nel mondo arabo, in Spagna, in America latina.
Negli ultimi anni, a partire dalla difesa dell’acqua pubblica, centinaia di migliaia di italiani sono scesi nelle strade e nelle piazze di centinaia di città  con i loro banchetti, le marce, gli spettacoli, i dibattiti per dire «non vogliamo né più Stato, né più Stato corrotto, né più privato , né più privato corrotto e predatore (prendi e scappa), né potentati finanziari, partitici o sindacali, né istituzioni politiche inefficaci, né parlamenti composti da persone che non meritano di essere rappresentanti dei cittadini. L’acqua pubblica significa non solo l’acqua dei cittadini , ma anzitutto l’acqua ai cittadini, per i cittadini e dai cittadini». L’acqua pubblica diventa uno degli strumenti più importanti per ricittadinare la città  del vivere insieme.
Centralità  dei beni comuni
Il secondo risultato non è da meno. Concerne la (ri)scoperta della centralità  dei beni comuni in una società  che pretende di essere efficace, di ottimizzare il vivere insieme in termini di «progresso» economico, sociale e civile. Chi mai l’avrebbe detto solo pochi anni orsono che i «beni comuni» sarebbero diventati un’idea cosi popolare nel nostro Paese? Una moda? Un fuoco di paglia? Per il momento, la realtà  è che si contano a centinaia, in tutte le regioni d’Italia, i gruppi territoriali «acqua bene comune» nati spontaneamente.
Senza alcun dubbio, l’acqua è all’origine del fenomeno. Chi dice «beni comuni» dice beni essenziali ed insostituibili per la vita, dice beni cui corrispondono intrinsecamente diritti (e doveri) individuali e collettivi, beni che esprimono la ricchezza comune messa al servizio del diritto ad una vita decente per tutti, beni che richiedono la responsabilità  di tutti i cittadini. Quando si parla di beni comuni ci si inserisce in un visione del mondo e della società  profondamente diversa da quella imposta negli ultimi quarant’anni. Con i beni comuni si afferma il primato del vivere insieme sulla logica di sopravvivenza individuale, dei più forti, dei più prepotenti, dei più furbi. In Italia la battaglia per l’acqua bene comune ha largamente contribuito a (ri)dare il loro titolo di nobiltà  di bene comune anche al sole, all’aria, alla conoscenza, alla terra, all’informazione, all’educazione, alla salute, la cui mercificazione e privatizzazione si sono affermate con forza, e con la condiscendenza di tutte le classi dirigenti, a partire dagli anni ’80. Molto verosimilmente è grazie all’acqua che i beni ora menzionati sono nuovamente, in quanto beni comuni, all’ordine del giorno dei dibattiti e dell’agenda politica concreta nazionale e soprattutto delle collettività  locali.
Una spallata al liberismo
Per concludere, il vivere insieme è diventato un nodo centrale della politica italiana tout court. In questo senso i referendum rivelano problemi, sfide e scelte non imprigionabili in sacchetti per uso immediato. Leggere i referendum nei termini di una nuova spallata contro il governo Berlusconi è una tendenza facile cui molti non hanno resistito. In realtà  essi debbono essere letti contemporaneamente come simbolo e sintomo di un rigetto, sempre più diffuso in Italia, del sistema economico capitalista di mercato, che ha condotto alla mercificazione di ogni forma di vita, alla privatizzazione del potere politico e alla confisca del ruolo di cittadini.
Voler (ri)diventare cittadini per la propria dignità  e anche per vivere insieme agli altri nel contesto di una umanità  da inventare è il secondo risultato della battaglia per l’acqua in Italia. La vita è un diritto per tutti. L’acqua, in quanto elemento essenziale e insostituibile per la vita, è anch’essa un diritto per tutti. È tempo di concretizzare i principi. La vittoria aprirà  le vie a nuovi percorsi di rinnovamento, d’innovazione e di sviluppo di nuove «città ».
* Fondatore del Comitato italiano per il Contratto mondiale dell’acqua, Presidente dell’Institut européen de recherche sur la politique de l’eau (Ierpe) a Bruxelles


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