Se l’apocalisse nucleare fa paura anche al Papa

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Sono state le catastrofi, tra cui quella di Fukushima, a indurre il Papa a questo appello. “Esse ci interrogano” ha detto. E propone: “Si verifica la necessità  di rivedere totalmente il nostro approccio alla natura”.
Doveva essere un’udienza di routine per le credenziali di alcuni nuovi ambasciatori. Inaspettatamente è divenuta l’occasione per una riflessione del Papa sulle catastrofi che nell’ultimo semestre hanno segnato “la natura, la tecnica e i popoli”. Sono i temi che incrociano da anni le ansietà  intellettuali di questo pontefice. E il linguaggio diplomatico del testo filtrato in segreteria di stato è cambiato. La gravitazione teologica porterebbe normalmente la parola del Papa a volare alto, come quando ha parlato con gli astronauti in diretta cosmica. Ma ci sono occasioni in cui anch’egli si ricorda che la preghiera deve tenere i piedi per terra. Una terra in pericolo.
È interessante notare che il monito di Ratzinger evita gli approcci apocalittici di una certa cultura di destra che spiegava lo tsunami in Giappone come “un castigo di Dio”. Il Papa preferisce chiamare la comunità  internazionale alla corresponsabilità  nella “governance” del pianeta. Senza entrare nei risvolti tecnici, egli incoraggia l’esigenza planetaria di proteggere l’ambiente dall’inquinamento, dal declino della biodiversità  e dagli effetti climatici legati all’effetto serra.
Soprattutto emerge la sua opzione per le energie pulite, alle quali riconosce la prerogativa di non mettere in pericolo l’integrità  della natura e la sopravvivenza dell’uomo sul pianeta. Le catastrofi, secondo Benedetto XVI, devono diventare strumenti di discernimento e di nuova progettualità  politica, di una revisione radicale del modello di sviluppo e di nuovi stili di vita. Già  nel messaggio per la Giornata della Pace del 2010 dedicato alle questioni critiche ambientali, Ratzinger aveva individuato il nodo delle risorse energetiche e auspicato un accordo internazionale su “strategie condivise e sostenibili per soddisfare i bisogni di energia della presente generazione e di quelle future”. In questa prospettiva il messaggio aveva fatto appello alle società  sviluppate per “favorire comportamenti improntati alla sobrietà , diminuendo il proprio fabbisogno di energia e migliorando le condizioni del suo utilizzo”. Ma insieme aveva incoraggiato la ricerca e la applicazione di energie di minore impatto ambientale e la redistribuzione planetaria delle risorse energetiche “in modo che anche i Paesi che ne sono privi possano accedervi”,
E’ anche notevole che la sua lettura dei “segni dei tempi” di questo semestre non si sia fatta condizionare, nella sua urgenza universale, dalla vigilia referendaria in Italia. Del resto, il mondo cattolico italiano ha moltiplicato le preoccupazioni ecologiche papali in una galassia di segnali popolari concordi, come raramente si era verificato, – dalla Cei ai settimanali diocesani, dall’Azione Cattolica a Pax Christi, dai gesuiti ai comboniani, sull’adesione ai “sì” dei referendum di domenica. 
A mettere severamente in discussione la questione delle opzioni nucleari è stata “Etudes”, la rivista dei gesuiti francesi. In un editoriale la rivista rovescia gli stereotipi sulla sicurezza delle centrali nucleari e critica il piano governativo francese del 1974, varato “senza alcuna discussione preliminare, in una atmosfera di segreto senza che nemmeno i parlamentari abbiano potuto votare il progetto”. Con Fukushima ancora una volta, in 25 anni, l’evento dato per “altamente improbabile” è successo, così che la probabilità  di una volta su un milione “ha degli effetti assolutamente catastrofici”. “Bisogna misurare gli effetti di ciò che è altamente improbabile, dice Etudes. La nostra umanità  può prendere dei rischi simili? A quali condizioni?”.
Anche per Benedetto XVI è su una scelta politica che planano i dubbi apocalittici che Fukushima ha fatto riemergere. L’opzione nucleare non ha carattere inevitabile, e tocca alla politica farla uscire dall’ineluttabile, se vuol essere al servizio del bene comune. Vi è un ritorno ai valori della Terra che può procurarle la salvezza, pensa il Papa. Vi è una paura altruistica, che si basa sulla questione posta da Hans Jonas: cosa capiterà  all’umanità  futura se non ci prendiamo cura di lei? E’ chiaro che la critica di Ratzinger all’eccesso tecnologico scommette sulla conversione moderna a una tecnologia buona, equamente condivisa, anche perché un ritorno indietro a una arcadia idilliaca ove vivere in armonia con la natura, in totale rottura con la tecnica moderna, non sarebbe verosimile. E persino il bunker antiatomico scavato nella roccia sotto l’oasi dei giardini vaticani sarebbe superfluo.
La partita è politica, e in politica si gioca anche il rapporto con la Creazione. Per questo la svolta ecologica nella Chiesa non è solo teologica, reclama scelte e culture politiche di cambiamento. In effetti è il ceto politico degli Stati l’interlocutore dell’intervento del Papa. “Una riflessione seria – dice Ratzinger – deve essere condotta e delle soluzioni precise e fattibili vanno proposte. L’insieme dei governanti deve impegnarsi a proteggere la natura e aiutarla ad assolvere al suo ruolo essenziale per la sopravvivenza dell’umanità “.
Il quadro istituzionale pertinente per lo sviluppo di queste proposte è indicato dal Papa nelle Nazioni Unite, anche per ovviare al rischio che tale riflessione venga “oscurata – ha detto – da interessi politici ed economici ciecamente partigiani, al fine di privilegiare la solidarietà  sull’interesse particolare”.


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