Se vivere insieme diventa una tragedia

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Accadono cose che ci commuovono. Ci meravigliano, ci spaventano, ci confondono. Restiamo stupiti, ammutoliti. Poi, come se il significato fosse qualcosa che viene dopo l’emozione, proviamo a ragionare. In altre parole, diventiamo responsabili, e cioè capaci di rispondere di ciò che accade – e ci offende, o ci contraria, o ci rincuora – spassionatamente raffreddando la passione. Addirittura, in un certo senso dimenticando il nostro interesse, anche nel senso puro e semplice di coinvolgimento personale, ideologico. La ragion pura è un sogno inattingibile, ma lo sforzo per raggiungere tal fine resta encomiabile.
Un modo magnifico di ragionare per comprendere un fatto accaduto nei nostri giorni s’è manifestato nell’articolo di Barbara Spinelli del 18 maggio scorso, dove rifletteva su quel che è accaduto nella suite dell’albergo Sofitel di Manhattan a una personalità  di spicco, un “eroe” moderno, ricorrendo a Dostoevskij. Ecco, mi sono detta un bell’uso della letteratura! – che come tutti sanno è una forma di conoscenza, un patrimonio, di cui disponendo si può capire la realtà  in cui viviamo.
E’ la stessa reazione che ho avuto leggendo il libro di Davide Susanetti, Catastrofi politiche (Carocci editore, pagg. 236, euro 18). Il sottotitolo spiega che Sofocle, sì, il grande drammaturgo – cui si debbono indimenticabili tragedie come Antigone, Filottete, Edipo Re, Edipo a Colono, Aiace, Elettra, le Trachinie – con le sue storie ci racconta “la tragedia di vivere insieme”. E’ questo secondo Susanetti il vero dramma a tema nel teatro greco già  con Sofocle, e ancora di più con Euripide: con loro si liquida un mito, e cioè che le istituzioni reggano l’urto della vita. Invece, più e più volte nelle loro tragedie “la casa va in frantumi, la città  rischia di diventare un deserto inabitabile”. Altro che catarsi, trionfa la catastrofe. Per catastrofe intendendo la devastazione della memoria, e con essa l’intransitabile passaggio da una generazione all’altra, e dunque alla fine l’impossibilità  di vivere congiunti in uno stesso orizzonte condiviso.
Con garbo e sapienza Susanetti ri-racconta le vecchie storie. Non c’è nessuna compiaciuta e sterile esibizione, c’è semmai un gusto del sapere; si sente che conoscere i suoi testi dà  allo studioso un’emozione autentica. Li indaga con amore, li parafrasa, li riassume, li assorbe nella sua lingua, nel nostro tempo. Ma non per questo si concede un’estemporanea attualizzazione, nessun troppo ovvio riferimento al presente. Eppure chi legge sente affiorare i fantasmi che aleggiano sulla scena politica nei secoli dei secoli fino ad oggi… Ed è qui l’incanto, dove si dimostra che la cultura serve all’intelligenza. Che la conoscenza della tradizione sostiene il presente e sorregge ogni vero atto di comprensione della nostra esistenza qui e ora.
Pian piano riconosciamo la “nostra” catastrofe politica: dietro Edipo, Aiace, Oreste si sollevano a specchio i tipi attuali, i contemporanei impacci intellettuali e pratici che ossessionano il nostro presente. Sofocle è un signore vissuto in un certo tempo e di quel certo tempo parla; risponde di ciò che accade nella sua epoca nel modo poetico. Ripeto: non vive nell’empireo, è un “poeta” e un “politico” che vive ad Atene e mai la lascia e la ama. Il potere lo conosce, la sua vita ne è toccata, di Atene e di Pericle e della democrazia è fervido sostenitore. Basta leggere l’orgoglio con cui descrive la sua terra nell’Edipo a Colono. Nelle sette tragedie che ci sono giunte per lo più al centro è un uomo di straordinarie capacità , che gli dei travolgono, come accade ad Aiace. E’ commovente oltre ogni dire seguire le dolorose vicende dell’eroe che la dea Atena trasforma in una cieca macchina di distruzione… E’ tremendo assistere alla fine atroce di Eracle, e non è colpa di Deianira la quale gli ha mandato in dono il mantello che gli divora la carne; è il fato che così si compie. Quanto a Elettra e a Oreste, anche loro sono perduti in un atto cui li trascina la legge androcratica della stirpe, che riconosce nella vendetta del padre l’inevitabile debito di obbedienza. Ma quale nuovo ordine seguirà ?
Il modo della lettura del testo antico da parte di Davide Susanetti non ha niente a che fare con una certa critica marxista d’antan, che anche in revival foucaltiani, intende strappare alla sovrastruttura della costruzione artistica la maschera che nasconde il vero fondo. Niente di tutto ciò. Nessuno smascheramento, nessun violento strappo. Susanetti acconsente, si concede al testo, lo insegue nelle sue ambiguità , lo commenta intonandosi alle sue preoccupazioni. Perché un dramma è anche questo, un gomitolo di fili in cui si annodano le cure profonde di una cultura, una società , un paese; una cultura, una società , un paese, in questo caso, dove il potere comincia ad apparire in-fondato. Tanto che chi lo raggiunge è forse “solo un delinquente più fortunato di altri”.
Vi ricordo che così Edipo giunge a Tebe: con le mani insanguinate. Edipo è tyrannos a Tebe, e quel termine, anche se non coincide con il significato che noi diamo alla parola “tiranno”, però svela che Edipo non è re per diritto di nascita. E’ semmai un self-made re, che grazie alla sua intelligenza – ha risolto l’indovinello, ricordate? – si eleva il più in alto che può, finché non si ritrova il “più maledetto” tra gli uomini. Ma, allora, chi governa il mondo?

 


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