Siria, il giallo della blogger scomparsa

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Chi è davvero Amina Arraf? Esiste fuori della realtà  virtuale? E, se sì, dove si trova la ragazza, con madre americana e padre siriano, lesbica e musulmana, blogger e dissidente che sarebbe stata sequestrata da «tre uomini in borghese» sospettati di essere agenti del regime siriano? A un giorno dalla denunciata scomparsa sul suo stesso blog da parte della «cugina», la vicenda attorno alla sedicente autrice di “Gay Girl in Damascus” diventa un intricato mistero. Un giallo zeppo di interrogativi, che sullo sfondo ha quantomeno la certezza di una poderosa mobilitazione internazionale per ottenere la sua liberazione.
Da quando la rivolta contro la dittatura di Damasco è scoppiata a marzo, il blog della “Gay Girl”, che aveva scritto di essere nata in Virginia 35 anni fa, era stato citato da vari media internazionali per i suoi resoconti vividi e sensibili sulla repressione. Tanto che Amina era stata intervistata anche da Cnn e Guardian: ma apparentemente sempre tramite email. E questo è un primo dettaglio che forse avrebbe dovuto sollevare qualche dubbio sulla sua identità , benché sia noto che le comunicazioni dalla Siria non sono facili. E le cautele mai troppe in un Paese dove in tre mesi, secondo gli attivisti, sono state arrestate 10mila persone. Ad ogni modo, a mettere in luce le incognite della vicenda sono stati soprattutto il giornalista della Npr, Andy Carvin, smanettone tra i più esperti dell’attivismo online, e il blog del New York Times “The Lede”. Innanzitutto, segnala Carvin, nessuna delle notizie sull’arresto è stata scritta da persone che l’hanno incontrata o intervistata. Nessuno nella clandestina comunità  omosessuale di Damasco ha mai incontrato una persona di nome Amina. Contattare la famiglia finora è stato impossibile. E l’unica persona che dice di avere avuto un rapporto assiduo con lei – ben 500 email da gennaio – tanto che si dichiara sua «partner» ed è certa della sua esistenza, non l’ha mai vista in volto. Intervistata ieri da New York Times e Bbc la donna, canadese, di nome Sandra Bagaria, ha dichiarato di non aver visto mai la “girlfriend” neanche attraverso le loro chat su Skype. Piattaforma che, secondo Carvin, in Siria non ha la funzione di videochiamata.
Ad infittire il giallo, infine, le fotografie. Quelle di una bella ragazza apparse martedì sui media non sarebbero di Amina: ma di Jelena Lecic. Una ragazza che vive a Londra e che, dopo aver visto il proprio volto sulle pagine del Guardian, ha denunciato l’errore con un comunicato annunciando che qualcuno avrebbe preso le sue foto da Facebook.
Dunque chi è Amina? Anche il Dipartimento di Stato sta cercando di scoprire se si tratti di una sua cittadina. Di certo, che si chiami Amina Arraf o che questo sia un “nom de plume”, crescono le persone che credono che dietro quell’identità  ci sia una persona da salvare, non un bluff totale. Online la pagina Facebook “FreeAmina” ha raggiunto i 13mila fan, è stata lanciata una petizione per la sua liberazione. E per lo stesso fine i radicali italiani, con l’Arcigay e l’Agedo, si ritroveranno venerdì all’ambasciata siriana di Roma. Una dimostrazione di solidarietà  che è bene sperare che non venga spenta dai tanti interrogativi che restano. Perché, come scrive Carvin, che Amina sia uno pseudonimo o meno «sembrano discussioni accademiche se paragonate a quel che le sta forse accadendo».


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