Sud Sudan, il fronte si allarga

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Altre tre settimane mancano al giorno, il 9 luglio, in cui l’indipendenza del sud diventerà  effettiva. Una ventina di giorni che saranno decisivi per disinnescare una bomba sempre più vicina all’esplosione, che riprecipiterebbe i due Paesi in una nuova guerra civile, dopo quella combattuta tra il 1983 e il 2005. Lunedì, secondo giorno dei negoziati condotti dall’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki, fonti diplomatiche citate dall’agenzia Reuters hanno lasciato trapelare che il presidente sudanese Omar al-Bashir si sarebbe impegnato a ordinare il ritiro del suo esercito da Abiyei. Un gesto importante, distensivo ma dal valore simbolico più che reale. Perché il distretto petrolifero adesso è un’area deserta, abbandonata dalla popolazione, dove il 70 per cento delle proprietà  sono andate distrutte ad opera dei soldati sudanesi ma soprattutto delle milizie dei Missereya, alleate di Khartoum. Se si voleva impedire il referendum con cui Abiyei avrebbe potuto votare la propria autodeterminazione e l’adesione al Sud Sudan, togliendo al Sudan una porzione molto importante della sua produzione petrolifera, allora l’obiettvo è già  stato raggiunto. Finche gli oltre centomila sfollati non rientreranno nelle proprie case, sempre che le trovino ancora, non sarà  realistico ipotizzare soluzioni di alcun tipo.

Ma il fronte dell’incendio si è già  allargato. Chiusa la partita ad Abiyei, scontri tra le forze armate sudanesi e il Sudan People’s Liberation Army (Spla), braccio armato del partito del presidente Salva Kiir Mayardit, il Sudan People’s Liberation Movement (Splm), sono scoppiati in altri quattro stati, a ridosso della problematica frontiera. La situazione più preoccupante è quella del Kordofan meridionale, altro stato petrolifero, parte del Sudan, con all’interno una consistente minoranza di neri cristiani che durante la guerra civile hanno combattuto a fianco del Sud Sudan. Ora Khartoum accusa Juba di sostenere le milizie che dai monti Nuba attaccano le forze regolari. Il Sud Sudan nega qualsiasi coinvolgimento ma non è molto credibile, perché la formazione ribelle in questione è una propaggine dell’Spla che usa addirittura lo stesso acronimo e perché le due capitali sono ai ferri corti anche per il risultato delle elezioni governatoriali tenutesi poche settimane fa, vinte dal candidato di Khartoum, Ahmed Aroun, fidato collaboratore di al Bashir che il Tribunale penale internazionale vorrebbe processare per i crimini commessi contro la popolazione del Darfur. A Kadugli, la capitale dello stato, 40 mila persone su una popolazione di 60 mila risultano sfollate, messe in fuga dai combattimenti e dagli omicidi a sfondo etnico. Movimenti di uomini e mezzi si sono registrati anche nel Blue Nile, che con il Kordofan meridionale ha in comune importanti giacimenti petroliferi, l’aver combattuto la guerra civile dalla parte del sud e una “consultazione popolare” con cui presto si dovrà  decidere l’assetto costituzionale dello stato e che potrebbe portare ad una sua progressiva autonomizzazione.

E’ un momento delicato per Khartoum, dove il blocco di potere di al Bashir mostra alcune crepe importanti. Il governo si trova a gestire la secessione imminente del Sud Sudan, che porterà  con sé il 75 per cento delle rendite petrolifere insieme ad una nuova riapertura della questione del Darfur e al sospetto, espresso pochi giorni fa dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che il Sudan stia utilizzando la crisi di Abiyei e lungo la frontiera col Sud Sudan per distogliere l’attenzione del Darfur, dove – sostiene l’accusa – sarebbe partita una nuova ondata di violenze su larga scala contro i civili. A Juba le cose non vanno meglio. Non ancora indipendente, ha già  perso il territorio conteso di Abiyei e deve fronteggiare un disordine crescente nei due stati dell’Upper Nile e di Unity, dove sono attive formazioni ribelli, splinter group dell’Spla, e si sono registrati pesanti combattimenti. Il Sud Sudan sospetta che il nord stia manovrando per aprirvi fronti interni. Mentre intanto si susseguono faide, tentati omicidi, ribellioni pesanti come quella del governatore dello Unity Taban Deng Gai, ritenuto l’eminenza grigia dietro i ripetuti ammutinamenti e gli scontri armati che da mesi rendono traballante e incerto il percorso verso l’indipendenza. Qui, il 6 giugno sono tracimati i combattimenti del Kordofan meridionale tra l’esercito sudanese e l’Spla, che non riesce più a garantire la protezione dei pozzi petroliferi. Purtroppo, le fragilità  interne dei due Paesi rendono il rischio di una nuova guerra un’ipotesi pericolosamente reale.


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