Sulle tv del Cavaliere va in onda “The end”

by Editore | 17 Giugno 2011 7:04

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Si dibatte molto del futuro del Pdl, partito nato vecchio e mai esistito davvero, che di sicuro non sopravviverà  al suo demiurgo, ma non del futuro del vero partito di Berlusconi. Per la prima volta Berlusconi non promette o minaccia di vendere le proprie reti tv, come ha fatto quasi ogni primavera a partire dal 1993. Segno infallibile che ci sta pensando sul serio. Del resto, a che cosa gli servono ormai Canale 5, Italia 1, Rete 4?
Gli sono servite, molto, in passato. Sono state l’autentico strumento del principe, il veicolo di propaganda, il laboratorio di nuovi linguaggi e slogan, lo specchio dei mutamenti sociali, il sondaggio quotidiano 24 ore su 24, il termometro di un consenso prima antropologico e dunque politico. Tanto che i direttori dei telegiornali partecipavano ai famigerati “comitati editoriali” che dovevano servire a elaborare le strategie per lanciare Forza Italia imbrogliando i media. Oggi sono soltanto modernariato, ovvero antiquariato dell’epoca, residuati degli anni Ottanta che il berlusconismo ha prolungato per tre decenni. L’azienda del principe fa notizia soltanto come paradosso economico. Più perde ascolti, più guadagna pubblicità . Quest’anno ha pagato il salasso peggiore al boom della 7 e ha sfondato il 56 per cento di quota di mercato pubblicitario, record mondiale. Un “mistero industriale” l’ha definito con qualche ironia il Corriere della Sera. In realtà , un segreto di Pulcinella. Gli industriali italiani omaggiano con gli spot sulle reti Mediaset l’inquilino di Palazzo Chigi, in cambio di favori reali o presunti. Ma tutti sanno che, quando Berlusconi non sarà  più premier, il “mistero industriale” cesserà  di colpo di esistere. Per questa ragione a Berlusconi e figli converrebbe davvero vendere ora, prima che sia tardi. Ma se nominare un Alfano al Pdl non significa nulla, vendere le reti sarebbe per il premier la dichiarazione ufficiale di resa e ritiro dalla scena politica. Il conflitto d’interessi è destinato insomma a segnare la parabola del berlusconismo fino all’ultimo giorno.
In attesa di sciogliere l’imbroglio, c’è da chiedersi perché il partito azienda non funzioni più. Perché il piffero magico sia diventato muto. Per un quarto di secolo le reti tv sono state il motore del berlusconismo, il veicolo di una visione della società  italiana che appariva in ogni caso vincente sui modelli avversari, perché più moderna, libera, affluente, aderente al paese reale. In pochissimi anni, per effetto della crisi, dei mutamenti sociali, delle rivoluzioni tecnologiche, tutto questo patrimonio di appeal si è perso nel nulla.
La Modernità , anzitutto. Il mito fondante del berlusconismo. Davanti all’impetuosa avanzata di Internet, lo scintillante universo berlusconiano si è come impolverato di colpo. Berlusconi, direbbero i ragazzi, è «fermo all’analogico». È interessante notare come il premier non soltanto non capisca, ma rifiuti e rimuova di continuo l’importanza della Rete. Perfino dopo le batoste nelle amministrative e dei referendum, impensabili senza il tam tam della rete, gli strali e le vendette di Berlusconi si sono concentrati sulle ossessioni di sempre, Santoro e Raitre. Sul ruolo di Facebook o Twitter, non una parola. Eppure ormai Internet detta sempre più spesso l’agenda politica. Prendiamo l’ultimo caso su piazza, quello del ministro Brunetta. Soltanto quattro o cinque anni fa, la demenziale reazione del ministro della Pubblica Funzione (o finzione?) alla domanda dei precari sarebbe passata del tutto inosservata. La sfortuna di Brunetta è stata che il suo atto d’arroganza, simile a tanti precedenti, sia stato diffuso su Youtube. Con l’effetto di sbugiardare la versione dell’episodio che lo stesso ministro era stato costretto a fornire, sempre sulla Rete. A questo punto perfino i telegiornali di regime hanno dovuto piegarsi alla notizia. Questo per dire anche che il controllo dei notiziari pubblici e privati che Berlusconi sta mettendo in atto con i vari Minzolini e Mimun non è soltanto ignobile, ma ormai fuori tempo.
A un mondo dei media in piena rivoluzione, le reti Mediaset contrappongono un immaginario cristallizzato, come detto, fra gli anni Ottanta e i primi Novanta. Le facce di sempre, vecchie glorie o risaputi lacchè, i soliti quiz e reality, la finta satira di Striscia, le gag di Paperissima, telegiornali che ricordano quelli democristiani d’antan. Una specie di rullo incantato. Non meraviglia che il pubblico giovane, ricco, del Nord, insomma il target pubblicitario di prima scelta, sia migrato verso altri lidi, da Sky a La7; dai pochi giornali che hanno condotto la battaglia referendaria fino ai siti dei quotidiani, con il record storico raggiunto da Repubblica.it di oltre tre milioni e mezzo di lettori. In cerca di modernità . Di libertà . Parola chiave dell’universo prima televisivo e poi politico berlusconiano. Le tv di Berlusconi erano il primo polo delle libertà . La libertà  del “vietato vietare”, la libertà  di poter informare “senza bavaglio” sugli scandali di Tangentopoli, la libertà  di poter ingaggiare e “berlusconizzare” perfino il nemico, come il Santoro di Moby Dick. Oggi non è più così. Se Santoro o Fazio litigano con i dirigenti Rai, Mediaset è l’ultimo posto dove gli faranno un’offerta. Se il Tg1 non dà  una notizia, come ormai è consuetudine, il Tg5 è l’ultimo notiziario in cui recuperarla.
Quanto al terzo elemento della triade tele ideologica, dopo Modernità  e Libertà , e cioè il Mercato, siamo nella notte fonda. Se per vent’anni Berlusconi ha potuto vantarsi di essere un imprenditore prestato alla politica, uno che aveva creato un impero “senza una lira pubblica”, il candidato a guidare il Paese come un’azienda, ormai il rovesciamento è sotto gli occhi di tutti. Le reti di Berlusconi sono le vere aziende del parastato, quelle che falsano il gioco della concorrenza attraverso i vantaggi della politica. Molto più della povera Rai, che colleziona record di ascolti, da Sanremo a Saviano a Santoro, ma poi perde decine di milioni di pubblicità .
Vent’anni fa scrivemmo che bastava guardare Canale 5 per capire che Berlusconi avrebbe fondato un partito e vinto le elezioni. Ora si può dire che basta passare qualche ora sulle reti Mediaset per guardare in faccia la fine del berlusconismo.

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