Tutto il potere alla destra

by Editore | 7 Giugno 2011 7:18

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LISBONA – Alla fine i risultati delle elezioni portoghesi di domenica sono peggiori delle aspettative. Come è accaduto per Zapatero e il Psoe nelle amministrative in Spagna del 22 maggio, anche in Portogallo il premier socialista José Socrates (che si è dimesso dalla direzione del partito nella notte stessa di domenica) e il Partido Socialista hanno subito un’autentica disfatta (e perso 500 mila voti). Il Partido Social Democrata (Psd) di centro-destra, guidato da Pedro Passos Coelho (che guiderà  il prossimo governo presumibilmente dalla fine del mese), ha vinto e ha vinto bene: 38% contro il 28%, 105 deputati sui 230 del parlamento unicamerale contro 73. E 24 dell’altro partito di destra, il Cds-Pp di Paulo Portas (11.7%, il miglior risultato in 28 anni), probabile alleato nel prossimo governo che godrà  di una maggioranza assoluta di 129 deputati. Anche la sinistra «radicale» è stata travolta dall’ondata di destra: il Pcp (più i verdi) fermo al 7.9% e 16 seggi e il Bloco de Esquerda caduto dal 9.8% al 5.2% (e 4 seggi). Per la prima volta dalla Rivoluzione dei garofani del ’74, tutto il potere è in mano alla destra: la presidenza della repubblica (Anibal Cavaco Silva), il capo del governo (Passos Coelho), il presidente del parlamento (eletto da Psd-Ccs).
I media di qui sottolineano con grande enfasi ed entusiasmo che un ciclo è finito e finalmente se ne apre uno nuovo. Non si specifica però di quale ciclo si stia parlando. L’ipotesi più probabile è che le ambizioni delle destre siano grandi e che il ciclo sia quello inaugurato con la fine della dittatura salazarista.
Sì perché se in molti strati della società  la democrazia è un regime tutto sommato accettabile, meno accettabile è il dover finanziare lo stato sociale. Non sono pochi gli ambienti nei quali si guarda alla Rivoluzione del ’74 con un misto di rancore e di voglia di rivincita.
Una vittoria, quella delle destre, costruita pezzo per pezzo nel corso degli anni, da quando, cioè, quel blocco sociale che era stato alla base della dittatura ha capito che finalmente la si poteva fare finita con le «conquistas de Abril». Il periodo 2008-2011 è un periodo favorevole per chi auspica una riscrittura profonda delle regole: l’Unione europea, Angela Merkel, il Fondo monetario, le banche, i «mercati» e le agenzie di rating mettono sotto costante pressione il governo Socrates, attaccato da sinistra per essere troppo di destra e attaccato da destra per non essere più deciso nell’adottare misure per ridurre le spese pubbliche e salvare il sistema bancario.
Per vincere le elezioni è bastata la più classica delle strategie della destra: populismo e anti-politica. I risultati sono stati straordinari. In un paese dove il lavoro è duro basta inventarsi la classe dei privilegiati: gli impiegati pubblici, quelli che vivono come parassiti attaccati alla mammella dello stato. Quelli che assorbendo tutte le risorse di un paese lo portano alla decadenza, perché la decadenza è sempre il migliore degli argomenti per imporre sacrifici a una popolazione disorientata.
Quando poi non si riesce a convincere a votare a favore si cerca di convincere a non votare, creando un clima di disaffezione e sfiducia. Anche su questo versante i risultati ottenuti sono stati notevoli, l’astensionismo è infatti ulteriormente cresciuto raggiungendo la quota storica del 41,3%, davvero paradossale se teniamo in considerazione il fatto che questa è stata una delle tornate elettorali più combattute.
Certo, al buon funzionamento di una democrazia non giova il fatto che la grande parte delle decisioni politiche siano state prese a Bruxelles e imposte a Lisbona, ma dopotutto l’Unione europea fa parte del problema, è parte integrante di quel blocco sociale che si pone come obiettivo quello di ridefinire una volta per tutte gli equilibri tra le varie classi sociali.
Quel blocco sociale che in Portogallo non attacca direttamente il «25 aprile» ma le sue conquiste, le sue norme, la sua costituzione. Si dice cioè che in questo periodo di crisi proibire il licenziamento senza giusta causa e finanziare il sistema sanitario sono lussi che non ci si può più permettere. Paulo Portas, leader del Centro Democrata e Social (Cds), che probabilmente andrà  al governo con il Psd, l’ha detto nel suo discorso post-elettorale: bisogna mettere mano alla costituzione.
Ideologia, il problema è che funziona. La Bce e la Commissione europea permettono agli speculatori di fare quello che vogliono ma poi fanno la voce grossa quando si tratta di investire pochi soldi per proteggere i più deboli. Il programma di quanto sta succedendo oggi è stato tutto scritto 40 anni fa, nel 1975. Patrocinato dalla Trilateral Commission e pubblicato, in italian con tanto di prefazione di Giovanni Agnelli: «La crisi della democrazia».
Abbiamo supinamente accettato che la democrazia ci venisse tolta da sotto i piedi, che la Banca centrale europea fosse «indipendente» dalla politica. Abbiamo accettato con la direttiva Bolkestein la concorrenza globale dei lavoratori. Chissà  se accetteremo anche l’istituzione del super-ministro delle finanze europeo così come proposto dall’attuale governatore della Bce Jean-Claude Trichet e appoggiato dal suo vice portoghese Vitor Constancio (socialista…). Non possiamo stupirci adesso di quanto stia succedendo, perché è coerente con quelli che sono i rapporti di forza che si sono creati nel corso degli anni. La ruota gira, l’Italia ci è passata nel 1992, l’hanno seguita Argentina, Russia, Irlanda, Grecia, Gran Bretagna, Islanda, Spagna e Portogallo. Con l’Fmi o senza. Ogni volta si spera che sia l’ultima volta ma fino ad adesso la ruota non ha mai smesso di girare e all’orizzonte non si intravede niente e nulla che sia capace di arrestare questo processo di depauperizzazione di diritti e dignità .
Passato il Portogallo avanti il prossimo.

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