Un cerino da 60 miliardi

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Complessivamente, visto che i tagli di quest’anno e del prossimo ce li porteremo avanti, entro il 2013 l’Italia dovrà  trovare circa 60 miliardi di euro per far quadrare i conti. Sembra che uno esperto come Prodi concordi su questa cifra. Draghi, invece, sollecita il governo a muoversi tempestivamente: se la manovra iniziasse già  a ottobre di quest’anno sarebbe meno pesante. Queste le cifre, ma come si sta muovendo il governo? E l’opposizione che intende fare?

Berlusconi è in difficoltà : forse sono chiacchiere, ma c’è chi sostiene di averlo sentito dire che avrebbe voglia di mollare tutto. Sa che se in questo momento si andasse al voto, perderebbe e, vista l’età , per lui non ci sarebbe una nuova occasione. L’unica possibilità  è tenere duro, prendere tempo, tirando a campare, cercando di recuperare lo smalto di un tempo e, con un po’ di fortuna, rivincere le elezioni del 2013. Per farlo bisogna illudere gli italiani e non scontentarli. Per farlo varerà  sia quest’anno che il prossimo solo le due piccole manovre correttive e cercherà  di riconquistare la fiducia della gente con fantasiose riforme fiscali. La vera manovra – quella grossa, e antipopolare da 45 miliardi – slitterà  a dopo le elezioni del 2013: se le vince avrà  carta bianca, se le perde, passerà  il cerino al centro sinistra.
Gli studi di destra anticipano che la manovra sarà  antipopolare e classista: peggiorerà  le condizioni di vita di milioni di persone. Ormai tutti parlano di innalzamento dell’età  (65 anni) nella quale le donne potranno andare in pensione; di nuovo blocco (per il 2014) delle retribuzioni degli statali, di mollare al loro destino i precari; di ridurre all’osso il welfare sanitario. E Bersani che fa? Aspetta e insiste sulla gravità  della crisi (si moltiplicano gli interventi che evocano il fantasma della Grecia) e indirettamente preme sul governo Berlusconi, non per farlo cadere, ma per convincerlo a intervenire tempestivamente.
Bersani spera che Berlusconi e Tremonti facciano il lavoro «sporco», perdano le elezioni nel 2013 e lo sollevino dal dover incidere in profondità  il tessuto sociale. Non è fantapolitica: c’è un illustre precedente. Risale al 2004: il governo Berlusconi varò l’ennesima riforma del sistema pensionistico e il centro sinistra abbozzò. Anzi fece peggio, tanto che il manifesto titolò un editoriale: «La sinistra s’è destra». Fummo cattivi? No: era successo che un deputato Ds – Nicola Rossi, ex consigliere di D’Alema – aveva confessato al Corriere della Sera che quella era una riforma iniqua, ma il futuro governo di centro sinistra se la sarebbe tenuta, come accadde, ben stretta.
Oggi la storia si ripete: il centro sinistra fa opposizione di maniera e non prepara un programma alternativo e condiviso su come raddrizzare, immediatamente, la baracca. Magari proponendo sacrifici soprattutto a quel 10% di popolazione che detiene quasi il 50% della ricchezza. Senza far conto sui tagli classisti di Berlusconi.


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