Un ministro «alla frutta»

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ROMA – Alla fine il ministro Brunetta non ha voluto accettare le pericolosissime cassette della frutta che i precari gli hanno portato in dono ieri pomeriggio al suo ministero. Tra le banane, fragole, mele, le zucchine e i cetrioli spuntavano i loro diplomi di laurea. «Questi attestati – ha commentato uno dei cento manifestanti del sit-in organizzato dal comitato «Il nostro tempo è adesso» – sono per dire che il governo non sta facendo altro che sprecare l’enorme risorsa della generazione più formata di questo paese. Brunetta dimettiti».
In quei certificati anonimi, che ormai valgono meno di un diploma di scuola superiore, abbiamo visto l’assoluta intercambiabilità  con la quale la pubblica amministrazione usa i precari da più di dieci anni. Al ministro che aveva rifiutato di rispondere alle domande di una collaboratrice a progetto di Italia Lavoro, Maurizia Russo Spena, e che ancora ieri ha continuato a rivolgerle contumelie e squallide insinuazioni, la piazza ha voluto ricordare che lo Stato è il peggiore sfruttatore di giovani lavoratori a progetto. Invece di assumerli li spinge ad aprire una partita Iva perché così può liberarsi degli oneri fiscali e previdenziali.
Chi vive in questa gara sfrenata alla deregolamentazione dei rapporti di lavoro e alla dequalificazione dei saperi viene assalito dallo sconforto. Ma non era questa la sensazione che si respirava nella sarabanda di ieri che ha bloccato il traffico per qualche minuto. C’era dileggio, sarcasmo, ma anche analisi: «Il disprezzo del ministro verso i precari – ha detto un giovane assegnista di ricerca presso Sociologia della Sapienza – accompagna il deliberato progetto delle classi dirigenti che intendono liquidare un blocco sociale iperqualificato tra i 25 e i 45 anni. Ogni laureato, o specializzato, è costato allo Stato tra i 200 e i 300 mila euro. L’unico futuro che Brunetta prevede per questa generazione è il lavoro servile».
Si avvicina una ragazza giovanissima, masticante chewingum, tatuata sulle braccia e sotto le orecchie, capello corto e ramato: «Sai ‘na cosa? – ci dice sintonizzando l’Ipod su una traccia diversa – in questo paese voglio lavorare al nero, mi sono stufata di pagare le tasse a questi pezzi di merda». Risuona in queste parole la sfiducia di massa, per non dire l’odio, che cresce nel paese dove i precari vengono trattati da «falliti», parola anche questa pronunciata dall’ineffabile Brunetta che ha ricevuto 10 mila post di insulti e ironie sul suo profilo Facebook mentre Giorgio Stracquadanio – un altro panzer in libera e caotica uscita dal Pdl – lo invitava a punire gli statali che fanno un uso privato del web in ufficio. «Desolante», «disgustoso», «insopportabile», «decadente», sono stati i commenti che questo spettacolo ha ricevuto dall’intero mondo sindacale, da Bonanni alla Camusso fino a Landini.
Ma sul rapporto paranoico tra Brunetta e la rete si dovrebbe scrivere un romanzo. La sua compulsione oratoria lo ha spinto a rilasciare una videolettera su Youtube che è stata oggetto di nuove e indicibili parodie, al punto che sono già  35 mila persone a chiederne le dimissioni. Alle maglie larghe di questa «contro-informazione» dilettantesca è sfuggita una lettera scritta da un precario della ricerca presso la facoltà  di Agraria della Cattolica di Piacenza dove si rivela lo status accademico del ministro della pubblica amministrazione. Assunto con l’ope legis dei primi anni Ottanta, il professore in economia Brunetta vanta sull’Isi web of Science, la Bibbia per chi fa ricerca, due lavori e zero citazioni. «Non è l’unico opportunista – ci dice un altro precario della ricerca – a volerci fare la lezione. In Italia c’è una classe politica rapace che non merita rispetto».
Saranno anche «la parte peggiore d’Italia», ma i precari chiedono «una rinascita della coscienza civica del paese, con livelli salariali e percorsi di carriera indipendenti dalla corruzione dei superiori». Si fa sempre a tempo a rinascere, questa è la speranza, anche se qualcun altro preferisce essere più prudente e citare i classici. Poco prima che il sit-in si sciogliesse qualcuno ci ha detto: «È pericoloso avere ragione quando un governo ha torto». Lo è soprattutto quando il governo non ha alcuna idea della ragione.


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