Un ultimo sforzo per raggiungere il quorum

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Il numero magico è 25.209.346. Ricordiamolo, annotiamolo vicino alla radio, alla tv, al computer. È questo il quorum minimo da raggiungere, sommando la metà  più uno dei due corpi elettorali, come si chiamano nel linguaggio del ministero dell’Interno gli elettori residenti in Italia e quelli iscritti nelle liste elettorali estere. E per capire quanto potrebbe pesare il voto che arriverà  dai cittadini italiani emigrati nei cinque continenti, consideriamo che il numero degli elettori della circoscrizione estero è di 3.299.905. Questa potrebbe essere la vera incognita, il trucchetto che di fatto alza il quorum ad una cifra sostanzialmente superiore a quel 50% più uno previsto dalla costituzione.
Occorre fare due calcoli per individuare la percentuale dei votanti necessaria per blindare il quorum, considerando che probabilmente ben pochi voti arriveranno dalle sezioni estere. Alle ore 15 di lunedì una qualsiasi cifra superiore al 54% dei votanti – poco più del 53,5% per essere precisi, rimanendo però sul filo del rasoio – determinerebbe il sicuro successo dei referendum, prescindendo dal voto degli italiani all’estero. Serve quindi uno sforzo ulteriore, superando questa soglia del 54% dei voti, per garantire la validità  del voto senza dover attendere il conteggio delle schede arrivate nei giorni scorsi dalle sezioni estere. Un numero che non è impossibile da raggiungere, sentendo il clima che si respira in queste ore.
I sondaggisti preferiscono tacere, spiegando che sul quorum raramente le loro previsioni risultano attendibili. Tra i denti qualcuno fa capire, però, che l’aria che tira è positiva. Basta scorrere le dichiarazioni e le iniziative che arrivano dal fronte del no, composto sostanzialmente dai politici liberisti e dai rappresentanti delle grandi corporation, per capire come il paese è a un soffio da una svolta storica. In nessun altro referendum degli ultimi vent’anni la preoccupazione di chi osteggia i cambiamenti era così palpabile. Un’atmosfera che si poteva respirare nell’Ara Pacis a Roma qualche giorno fa, quando sul tavolo era schierato il fronte senza confini dei privatizzatori dell’acqua: da Sergio Chiamparino all’amministratore delegato di Acea Marco Staderini, uomo in quota Udc e Caltagirone, principale azionista della holding romana. Prospettavano scenari apocalittici in caso di vittoria del sì, e in fondo avevano ragione. L’apocalisse verrà  per gli speculatori, per quei maghi della finanza che stanno spostando i giochi dei grandi fondi sui beni comuni, per le multinazionali che si preparano ad inghiottire la gestione del sistema idrico italiano, pronti a chiudere i rubinetti della famiglie che non saranno in grado di pagare le loro bollette. E i loro visi tesi sono forse più affidabili di un qualsiasi sondaggio pre-elettorale.
Ci sono tante incognite, però, da tenere in conto. Alcune grandi città  hanno appena votato per il rinnovo dei sindaci e dei consigli comunali. Milano, ad esempio, potrebbe sentire un certo senso di appagamento arrivato dall’elezione di Pisapia. Il voto, lì, conta per un milione di elettori, che domenica e lunedì dovranno tornare alle urne. In questo caso troveranno anche le schede per alcuni referendum consultivi locali, voto che probabilmente potrà  invogliare ulteriormente i milanesi a recarsi alle urne.
Pesano poi due grandi regioni del centrosud, il Lazio e la Campania, conquistate alle ultime regionali dalla destra. A Roma gli iscritti nelle liste elettorali sono 2.127.008. Più di un milione di persone, quindi, dovrà  andare a votare, per garantire anche localmente il quorum. E non dobbiamo farci ingannare, in questo senso, dalla Piazza del Popolo semi vuota, perché la festa venerdì era altrove. In ogni municipio il comitato referendario «2 sì per l’acqua bene comune» ha organizzato una propria festa, in chiara e netta separazione dal Pd e dell’IdV, partiti che hanno cercato in tutti i modi di agganciare il carro dei vincitori. Una rete di comitati visibile nelle tante bandiere blu dei promotori dei referendum sull’acqua che si vedono in questi giorni nella capitale.
Nel caso della Campania gli iscritti nelle liste elettorali sono 4,6 milioni di persone, con un’alta concentrazione a Napoli. Anche in questo caso potrebbe contare il recente voto amministrativo, ma è anche vero che nella città  di Alex Zanotelli – il comboniano divenuto simbolo del movimento per l’acqua pubblica – la grande onda della difesa dei beni comuni è stato il principale motore per l’elezione di Luigi De Magistris.
Un dato estremamente interessante – da monitorare con particolare attenzione – è infine l’affluenza che si registrerà  domani e dopodomani in Toscana, regione considerata da un decennio la vera officina del modello di gestione dei servizi idrici pubblico-privato tanto caro al Pd. Gli elettori iscritti nelle liste sono quasi tre milioni, concentrati nelle grandi città  dove l’acqua è già  privatizzata: il loro voto sarà  un giudizio importantissimo su questo laboratorio, dove la privatizzazione appare più subdola e mascherata.


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