Via sms la voce dei tunisini “Qui solo insulti e umiliazioni”

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POTENZA – Insulti, intimidazioni e perquisizioni alla ricerca degli autori dei video incriminati. Arriva via sms il racconto dei ragazzi rinchiusi all’interno nel Centro di espulsione e di identificazione di Palazzo San Gervasio, dopo la pubblicazione dell’inchiesta di Repubblica-Espresso e delle immagini girate dagli stessi tunisini. «Entrano continuamente nelle nostre tende e cercano gli apparecchi fotografici. Ci buttano i vestiti a terra e ci insultano. Non lasciano che nessuno vada dal medico, fanno rumore deliberatamente per tutta la notte in modo che non possiamo dormire». Per conoscere la situazione e verificare questo racconto, la stampa o gli avvocati delle associazioni indipendenti dovrebbero avere accesso alla tendopoli trasformata nel Cie lucano. Questo è tutt’ora impossibile a causa della circolare 1305 del primo aprile firmata dal ministro dell’Interno Roberto Maroni che restringe ad alcune associazioni stabilite dal Viminale l’accesso a tutti i centri per migranti.
«Ci chiamano per tutto il tempo cani, e frugano le nostre tende 4 volte al giorno. Abbiamo paura, fate qualcosa». Nei loro racconti chiamano il Cie «il posto in cui muoiono i diritti umani». Fuori dal cancello sbarrato, gli avvocati che collaborano con l’Osservatorio Migranti Basilicata, Nicola Griesi e Arturo Raffaele Covella, non sono stati autorizzati a entrare. All’interno della struttura ci sarebbero più di una decina di persone che hanno manifestato la volontà  di nominare uno dei due come legale di fiducia. Ma la richiesta depositata in prefettura l’8 giugno ancora non ha avuto risposta. «Molti non avranno il diritto di restare in Italia – dice Griesi – ma per lo meno hanno il diritto di verificare i presupposti dell’espulsione». Ci sono dubbi anche sulla convalida dell’udienza di trattenimento, che in molti Cie sta avvenendo con modelli prestampati, senza che gli avvocati d’ufficio verifichino i singoli casi.

 


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