Alfano «sospeso» Il ministro-leader rinvia l’addio a Via Arenula

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Così, per quanto possa apparire paradossale il desiderio di un ministro di spogliarsi dell’incarico di governo, è ancor più paradossale il fatto che nel centrodestra non si riesca a trovare un sostituto. È vero che la priorità  è stata sostituita da altre priorità , che la crisi economica è un’emergenza più importante di un rimpasto, che c’è l’esigenza di tenere in equilibrio un quadro politico deteriorato, con un esecutivo privo ormai di spinta propulsiva. E sarà  anche vero che il capo dello Stato avrà  invitato ieri il premier a una «pausa di riflessione» sulla scelta del futuro Guardasigilli, dopo aver scorso la lista di nomi e averne anzitempo (e pubblicamente) cassati alcuni. Ma è altrettanto vero che Berlusconi si è presentato all’appuntamento con Napolitano senza una precisa strategia, evidenziando la propria debolezza e un colpevole ritardo nella gestione del delicatissimo dossier. Perché l’idea di lanciare Alfano alla guida del Pdl era stata operativamente avviata dal Cavaliere all’inizio dell’anno, e già  allora il ministro della Giustizia aveva spiegato al premier come fosse «impensabile» assumere la carica di segretario del partito e rimanere al tempo stesso in carica a Via Arenula.
Da allora sono passati mesi prima del Consiglio na-zionale del Pdl, quando Alfano avrebbe voluto annunciare l’addio al governo. E ancora alla festa di partito a Mirabello, aveva anticipato che si sarebbe dimesso da ministro nel giro di una settimana. Perciò, delle due l’una: o dieci giorni fa era pronto il passaggio di testimone, poi saltato, oppure con la sua dichiarazione pubblica il ministro-segretario aveva tentato di accelerare la staffetta. Se così fosse, per un politico di cui è nota la prudenza, questo dimostrerebbe la sua determinazione a lasciare l’esecutivo per dedicarsi al nuovo incarico. Determinazione ribadita ieri ad alcuni dirigenti del Pdl, preoccupati come lui della situazione. Il fatto che — prima di recarsi ad Arcore per il vertice con la Lega — sia andato alla sede del partito, e che oggi incontrerà  dipendenti e funzionari, è un segnale chiaro. Alfano vuole dimettersi da ministro, fosse per lui lo farebbe «subito» , ma senso di responsabilità  istituzionale e politica lo inducono al silenzio: perché sarebbe irresponsabile da membro di governo lasciare vacante la carica di Guardasigilli, e perché sarebbe irresponsabile da segretario del Pdl mettere in difficoltà  il proprio governo. Il problema è che lo status quo rischia di provocare un grave danno politico e d’immagine all’operazione-partito. Non a caso il capogruppo al Senato Gasparri dà  voce all’inquietudine e sottolinea «senza mezzi termini» che «a una soluzione» per il cambio della guardia alla Giustizia «bisognerà  arrivare nel giro di giorni, non di settimane, per garantire la massima operatività  al segretario» .
È un modo anche per spazzar via i «pissi pissi» di Palazzo, i cattivi pensieri che prendono corpo e che vorrebbero i ras delle correnti soddisfatti della situazione, addirittura un Berlusconi mosso dall’obiettivo di tenere a bada Alfano. Ma sono tesi che non reggono. Intanto perché è stato Berlusconi— nel giorno dell’investitura del segretario — a dire che «se per qualsiasi motivo dovessi venir giù io, ora ci sarebbe Angelino» . Eppoi perché, come spiega un ministro «nell’impresa di rilanciare il partito ci siamo spesi tutti, e così ci rimetteremmo tutti» . Il «doppio incarico» , traguardo da sempre ambito e che una volta raggiunto tutti cercano di tenersi stretto, sta diventando invece una morsa dalla quale Alfano vorrebbe sottrarsi.
Lo stallo lo penalizza, il ruolo di Guardasigilli gli impedisce di intervenire direttamente nelle scottanti vicende giudiziarie che hanno coinvolto esponenti del suo partito e della maggioranza: i casi dei parlamentari Papa e Milanese, per esempio, e quello del titolare delle Politiche agricole Romano. Questioni che chiamano in causa il suo profilo politico, e che tuttavia gli sono vietate dalla veste di governo, trasformatasi in una camicia di forza. «Sono l’unico caso di ministro che vorrebbe andar via. E subito» . Il tempo invece scorre, mentre con la testa Alfano è già  proiettato sul lavoro da fare al partito, dove è impegnato nella difficile missione di trovare un meccanismo di regole capace di far funzionare la struttura, e al contempo in grado di tenere insieme tutte le anime. Il rinnovamento del Pdl era e resta il suo obiettivo, da quando è diventato segretario. Un primo passaggio importante era stato fissato nelle scorse settimane, con la convocazione per domani dei coordinatori regionali. È presumibile che Alfano pensasse di presentarsi all’appuntamento senza più i galloni di governo, libero di avere le mani libere, e pronto a chiedere ai dirigenti territoriali «un gesto di disponibilità » , un passo indietro insomma— tradotto dal politichese — per valutare caso per caso le situazioni locali.
Nello schema del segretario nazionale, dove fosse necessario, i coordinatori regionali verrebbero sostituiti da «supervisori» in grado di garantire un regolare tesseramento in vista dei congressi, da tenersi in autunno. «Un nuovo inizio» , è questo lo slogan con cui Alfano vorrà  girare il Paese per incontrare dirigenti ed elettori del Pdl, così mira a costruire una grande alleanza «con quanti in Italia si riconoscono nelle insegne del Partito popolare europeo» . Ma il segretario che non vorrebbe più essere ministro è costretto ad attendere.


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