Bossi: “Diremo sì all’arresto di Papa” e il Pdl cerca disperatamente un rinvio

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ROMA – C’è aria di nuove richieste d’autorizzazione in arrivo dai magistrati. E il palazzo, la Camera in particolare, trema. Teme una nuova Mani pulite che travolga la casta. A sei giorni dal voto in aula sull’arresto di Alfonso Papa la maggioranza è tuttora nel caos. Il braccio di ferro tra la Lega e il Pdl è fortissimo. Con i berlusconiani costretti, nella giunta per le autorizzazioni, a ricorrere a dei “mezzucci” pur di evitare il voltafaccia del Carroccio. Un fatto è certo: a fine giornata, sono le 19 e 45 a Montecitorio, Umberto Bossi gela di nuovo gli alleati di governo. Eccolo dire: «Meglio di sì, meglio votare per l’arresto». Segue la frase che ha ripetuto spesso in questi giorni, quasi a sminuire la portata dell’annuncio: «Non ne ho ancora parlato con i miei in giunta…».
In realtà , non si parla d’altro in ogni angolo di Montecitorio. La giunta è diventata il posto più “in” del palazzo. L’ex pm ed ex vice capo di gabinetto di via Arenula Papa il personaggio più seguito. Come quando accompagna il leghista Luca Paolini per un lungo tratto. Scontato cosa gli stia chiedendo. Tutti s’interrogano su che succederà  mercoledì, quando in aula si vota: se passa il sì all’arresto lui che fine farà ? Finirà  subito in carcere? Lo verranno a prendere o si presenterà  lui?
In realtà  tutto è ancora per aria. I fatti certi sono questi. Ieri mattina, in giunta, il Pdl ha ribaltato il tavolo. Giusto mentre, nel gruppo, faceva rumore l’intervista al Fatto della deputata di Salerno Nunzia Di Girolamo, pronta a chiedere libertà  di coscienza su Papa e Milanese, il relatore Francesco Paolo Sisto d’improvviso ha ritirato la relazione contraria all’arresto di Papa. Motivo ufficiale: ancora 16mila pagine da leggere, quelle della famosa chiavetta presentata all’ultimo secondo da Papa. Motivo reale: il timore che i due della Lega, Paolini e Fulvio Follegot, possano votare contro. Obiettivo: andare in aula a mani libere. Lì, col voto segreto, il Pdl è certo che la casta non ferirà  se stessa.
In giunta scoppia la protesta. La Pd Marilena Samperi: «Maggioranza indecente, ha paura del voto». Pierluigi Mantini, Udc: «Bossi protegge Papa». Il finiano Nino Lo Presti: «I berlusconiani sono nel marasma». Il presidente Pierluigi Castagnetti, indignato: «In giunta si voterà  comunque». Qui arriva il dipietrista Federico Palomba. Che si propone come relatore di minoranza e al presidente dice: «Votate sulla mia proposta». Il Pdl Maurizio Paniz tenta di mediare con la Lega. Che però salva la faccia. Esce il capogruppo Marco Reguzzoni, fino al giorno prima con il Pdl contro l’arresto voluto da Bobo Maroni e dai suoi. Ora apre spazi: «Sì a ogni richiesta di materiale per le inchieste, sugli arresti si valuta caso per caso». Samperi ribatte: «Lega ambigua».
Per Papa, per Marco Milanese, per il Pdl la partita si mette male. Castagnetti chiude la seduta con uno “warning”: «Se la maggioranza non sarà  in grado di presentare una proposta mi rivolgerò all’opposizione, ma su una proposta di merito bisogna votare». Oggi riunione alle 12. Coltelli affilati. Potrebbe finire così: l’Idv e il centrosinistra chiedono l’arresto, Pdl e Responsabili, in nove, dicono no. Ma dice di no pure la Lega perché si tratta di «una proposta strumentale dell’opposizione». È «la “ola” giustizialista», come la chiama Sisto.
Mai come ora il Pdl, su una richiesta di arresto, ha vacillato. Lo stretto giro di Berlusconi non ha dubbi. Dicono i suoi: «Arrestare Papa? Siete pazzi. Pazzi del tutto. Noi siamo e saremo sempre contro la carcerazione preventiva. Va detto un no a prescindere». Eppure ecco che Denis Verdini, il coordinatore, lancia un segnale di trasparenza, chiede che la giunta autorizzi l’uso delle sue intercettazioni chieste dall’Aquila. A quel punto parla Bossi. I pidiellini ormai fidano solo in quell’area dell’opposizione che, nel segreto dell’urna, voterà  per lasciare libero Papa.


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Governo tecnico, di «unità » o «responsabilità  nazionale», di decantazione, transizione (al prossimo governo) ovvero «di fine legislatura con lo scopo di affrontare la crisi e cambiare la legge elettorale», che è l’ultima definizione, made in D’Alema. Ormai il Pd, l’Udc-Terzo Polo e un gruppetto Pdl, non fingono neanche più di filosofeggiare sul nome della Cosa. Perché sulla Cosa sono d’accordo tutti.

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