California smoking

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San Francisco. «Il tariffario è di tipo socialista: a ciascuno secondo i suoi bisogni, ciascuno paghi in base alle sue capacità . Dunque i prezzi partono da 35 dollari l’oncia, per salire fino a 200 dollari l’oncia». La prima “cooperativa rossa” dedicata alla coltivazione e distribuzione della marijuana ti stupisce, non per il luogo dov’è nata: ovviamente è in California, la punta avanzata del movimento per la liberalizzazione in America. Ma anche per i canoni della West Coast trasgressiva e libertaria, la comunità  del Laguna Woods Village è davvero singolare. In questa ridente cittadina di 18.000 abitanti l’età  media è di 78 anni. Fra i 150 fondatori della Golden Rain Foundation il decano, Joe Schwartz, ha celebrato il suo novantesimo compleanno. «Legale o illegale, che volete che m’importi? Alla mia età  parlo liberamente di queste cose», scherza Schwarz. In effetti lo status dei coltivatori-venditori di marijuana in California è ancora in un limbo giuridico. Diversi referendum hanno dato via libera all’uso medico, una legge firmata dall’ex governatore Arnold Schwarzenegger ha confermato la legittimità  farmacologica dell’erba, ma i fautori della legalizzazione totale non l’hanno ancora spuntata, e a livello federale il business della marijuana è perseguibile. La cooperativa rossa di Laguna Woods, non a caso, esibisce finalità  mediche: «I consumatori regolari si curano l’artrite ossea, emicranie croniche, o gli effetti postumi di un ictus», dice Schwartz. Poi però aggiunge, fuori intervista, che nella generazione dei baby-boomer pensionati c’è una componente di nostalgici degli anni Sessanta, ex figli dei fiori, reduci della Summer of Love di San Francisco, che nell’idea di una vecchiaia serena includono il piacere di sentirsi stoned, ogni tanto. Con moderazione e modico consumo, come si addice alla saggezza dei capelli bianchi.
«Gli antichi faraoni d’Egitto si facevano seppellire nelle piramidi con un po’ di cannabis. La Regina Vittoria la usava per scopi medici, per curare i suoi “problemi femminili”. Ho detto la Regina Vittoria! Cioè la donna più puritana e conservatrice che sia mai esistita sulla faccia della terra, giusto?». Chi parla è Deidra Bagdasarian, docente del corso intitolato “Cooking with Cannabis”. Dalla comunità  per anziani di Laguna Woods, siamo passati alla più celebre accademia della marijuana. È la Oaksterdam University, un nome che fonde Oakland e Amsterdam: la prima è la città -gemella di San Francisco, sulla sponda opposta della celebre Baia, la seconda è la mecca della liberalizzazione nel Vecchio Continente. L’allieva ha ormai superato la maestra. Oakland è diventata la Silicon Valley delle droghe leggere, un centro del business farmacologico consentito dalle nuove norme californiane. Il fondatore di questa università , Richard Lee, si è ispirato al Cannabis College di Amsterdam nell’aprire l’istituto sulla West Coast. «Era il 2007 – ricorda Lee – e appena sparsi la voce fui sommerso dalle richieste: ricordo di aver ricevuto duecento telefonate in poche ore, il tetto massimo delle iscrizioni fu esaurito molti mesi prima che l’università  aprisse i battenti». I corsi della Oaksterdam University rispondono a un ampio ventaglio di richieste. I più classici e “ortodossi” degli insegnamenti si chiamano “Patient Relations 101” e “Methods of Ingestion”. Qui siamo nel regno della farmacopea, s’insegnano le regole di dosaggio e somministrazione dell’erba per quelle centinaia di migliaia di cittadini californiani che hanno regolare ricetta medica e sono autorizzati a consumare marijuana in quanto afflitti da «anoressìa, glaucoma, dolore cronico, Aids», secondo l’elenco delle patologie riconosciute in questo Stato. Va precisato che per molte di queste malattie l’erba è ammessa come analgesico coadiuvante nel trattamento dei sintomi, non come una panacea che offra la guarigione. Altri corsi accademici a Oakland riguardano gli aspetti storici, giuridici, economici della produzione e consumo dell’erba. Quello della Bagdasarian è più eccentrico: Miss Bliss, ovvero la Signorina Felicità  come l’hanno soprannominata i suoi allievi, nella classe “Cooking with Cannabis” insegna tutte le ricette gastronomiche che possono includere un pizzico di marijuana. Tra i suoi studenti c’è Tim Yarbrough, un vero chef di professione: «Dopo nove anni come capo-cuoco nei ristoranti di questa zona mi sono reso conto che il fenomeno della “marijuana da mangiare” è in forte crescita. Bisogna aggiornarsi, ed eccomi qui a studiare». Le lezioni della Bagdasarian, ad onor del vero, sono prevalentemente teoriche e virtuali. Da un lato perché bisogna evitare che nelle prove di cucina vada sprecato un ingrediente così costoso (immagino che anche il tartufo d’Alba non venga usato generosamente nei corsi delle scuole alberghiere). D’altro lato perché, fino a quando la legalizzazione piena riguarda gli scopi medici, è meglio non provocare sfacciatamente gli agenti federali. Ogni tanto la giustizia federale entra in conflitto con il permissivismo californiano, anche se Lee minimizza la portata di questi incidenti: «In generale non direi proprio che le autorità  di Washington ci diano fastidio. Non solo qui nella Baia di San Francisco ma in tutta la California è facile andare da un dottore, farsi fare la ricetta, e rifornirsi di cannabis in una delle migliaia di punti vendita autorizzati. Si può perfino chiedere la consegna a domicilio. Come per la pizza».
In California libertà  e business vanno spesso a braccetto. Vale anche per la marijuana: come per Internet, i siti sociali, o l’energia solare, il venture capital s’interessa di questo nuovo settore. «In una fase in cui altre zone dell’economia americana sono ancora in depressione, l’indotto della marijuana offre posti di lavoro remunerati dai 50.000 ai 100.000 dollari l’anno», dice Lee. Il boom ha attirato l’attenzione di un venture capitalist come Robert Kane, che ha creato uno hedge fund per investire nel settore. Si chiama, guarda caso, Kaneabis. Ha già  raccolto 36 milioni, vuole arrivare a 132 milioni entro l’autunno. «Il mercato c’è, questo è sicuro», dice Kane. Tra le nuove società  che verranno collocate in Borsa c’è la GrowOp Technology che produce apparecchiature “idroponiche” per la coltivazione di marijuana agro-biologica. E c’è la Medicine Dispensing Systems, che ha già  piazzato 60 distributori automatici di cannabis, con tecnologie che controllano le ricette mediche scannerizzate. Un potente appoggio al movimento per la liberalizzazione totale si è aggiunto nei giorni scorsi.
È appena trascorso il 40esimo anniversario di una campagna infausta. “The War on Drugs”, fu lo slogan lanciato dal presidente repubblicano Richard Nixon nel 1971 per annunciare una mobilitazione totale contro le droghe. Fu l’inizio di una serie: in seguito i successivi presidenti americani lanciarono “la guerra al cancro” e diverse altre, fino alla più recente “guerra globale al terrorismo” di George Bush. Come in altri casi, anche la guerra alla droga è stata un fiasco. L’anniversario è stato l’occasione per manifestazioni a cui ha partecipato un’ampia coalizione di “revisionisti”, in tutta l’America e soprattutto in California. Qui sono intervenuti personaggi tanto eterogenei come l’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan, ex presidenti del Brasile, Messico e Colombia, nonché il fondatore di Virgin Richard Branson che ha il suo quartier generale americano a San Francisco. «La legalizzazione – si legge nell’appello lanciato dalla Global Commission on Drug Policy – è uno degli strumenti per togliere il business dalle mani della criminalità  organizzata, dirottare risorse verso i piani di cura e disintossicazione, ridurre la violenza associata al narcotraffico e puntare sull’educazione dei giovani».


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