Capo Nord On the Road verso il punto più settentrionale d’Europa

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La Stelvio 1200 4V NTXe la Norge GT 8V, ultime nate nella casa dell’aquila, hanno attraversato Italia, Svizzera, Germania, Danimarca fin quassù, in cima alla Norvegia. I cuori di entrambe pulsano per il nuovo V2 quattro valvole per cilindro da 102 cavalli, ovvero l’ultima evoluzione del bicilindrico lacustre che ora mettiamo a tacere: ci sono voluti 5.000 chilometri di pioggia battente, vento forte, polvere in faccia, fango dentro le tute, ma siamo a Capo Nord. Maciniamo trattenendo il fiato gli ultimi chilometri e quella che ci sembra la fine del mondo è davanti a noi. Spegniamo i motori e in religioso silenzio ci affacciamo allo strapiombo sul mare Artico. Il raid è compiuto e il nostro viaggio finisce. Ce ne rendiamo conto e all’improvviso tutti i chilometri che abbiamo sulle spalle, gli acciacchi fisici, la stanchezza nelle braccia, svaniscono d’incanto: siamo pronti a fare il pieno e ripartire anche subito. Tutto è cominciato con l’intenzione di ripercorrere le stesse strade battute da Giuseppe Guzzi, soprannominato “Naco”, nel 1928. Un modo per festeggiare i 90 anni di Moto Guzzi.
Sfiliamo davanti ai cancelli della sede storica a Mandellodel Lario, prima di arrampicarci in cima al passo dello Spluga. Le curve tortuose portano a scollinare in Svizzera e la strada divertente dura troppo poco: senza accorgercene siamo già  in autostrada, la via crucis dei prossimi giorni. Anche leggere le previsioni meteo ha del tragico, visto che da Hannover in poi è prevista solo acqua.
E acqua sarà , sia per noi che siamo in moto e la prendiamo in faccia, che per i macchinoni tedeschi che ci sfrecciano a fianco. Raggiungiamo finalmente la Danimarca e l’imbarco per il traghetto a Hirshtals. Del tempo a questo punto non si capisce più niente, si passa dagli 11 gradi con pioggia ai confortanti 22 con sole e cielo terso. Guidi per ore attraversando una compilation infinita di tonalità  grigiastre, finché d’incanto il vento forte spazza via le nuvole lasciando dietro di sé colori sgargianti, così vivi da sembrare ritoccati. Soffrire un po’ fa parte del gioco, ma il viaggio è legato al tragitto ed è il desiderio di arrivarci che ti spinge. Tra le prime curve e le case a punta si arriva a Oslo.
Per ora li ho solo assaggiati, ma qui da qualche parte ci sono montagne che si tuffano a picco nel mare per centinaia di metri, fiordi, l’aurora boreale in inverno e il sole di mezzanotte in estate. Per vederli dovrò aspettare, ora mi limito a visitare il museo dedicato a Munch, espressionista pioniere capace di dipingere L’urlo (www.munch.museum.no). In una città  dove il museo sul calcio è pubblicizzato a ogni angolo, sembra assurdo passeggiare davanti al Grand Hotel e il suo caffè ad alta frequentazione di Premi Nobel. Anche più bizzarro è arrivare in KierkegardaStreet, per vedere la collezione di bottiglie mignon più grande del mondo. Dentro ci hanno messo vermi, topi, frutta esotica e stravaganze sul genere (www.minibottlegallery.com).
La mattina seguente ci si sveglia presto, alle 5.30. La luce costante è surreale, ma da queste parti, in estate, la notte è davvero una versione pallida del giorno. Hai l’impressione di avere molto tempo in più, tanto che un mese passato in Norvegia è come se fosse stato un giorno infinito. Eccoci di nuovo in formazione sulla E6, l’unica strada che ci porterà  dritti a Capo Nord. Qui è considerata un’autostrada, ma per noi meridionali d’Europa il saliscendi di curve e tornanti, i paesini con i Troll, fiumiciattoli, le fattorie e il bestiame sulla carreggiata, tutto può essere tranne che un’autostrada. Allontanarsi in cerca dei fiordi non è necessario, perché la E6 risale la costa norvegese per 2.000 chilometri e mentre saliamo verso Nord gli scorci somigliano un po’ alla Pusteria, un po’ alle Dolomiti o alle valli Svizzere, con la differenza che qui il mare si insinua dappertutto; può capitare di fare hiking e scovare delle conchiglie. Ci si ritrova a ciondolare con la moto per strade senza traffico, su un asfalto ineccepibile percorrendo curve dal raggio esemplare. Scalando altri quattro paralleli arriviamo a Trondheim, dove faccio rifornimento prima di abbandonarmi al filetto di renna con la composta di mirtilli. Con il prezzo locale della benzina (quasi 2 euro al litro) è una manna che la Stelvio e la Norge consumino così poco: ci fermiamo ogni 280 chilometri per il pieno, ma non sono ancora riuscita a andare in riserva. Nel Paese dove si sono inventati la Nokia, Trondheim è la capitale della tecnologia. Universitaria oltre ogni aspettativa, custodisce anche la Cattedrale di Nidaros, santuario nazionale. Il nome del fiume, del fiordo e anticamente della città  stessa hanno a che fare con “le maledizioni”. Non c’è nulla di esoterico, ma trattandosi di popolazioni che non vanno per il sottile, successe che il re Olav dopo aver tagliato le teste del figlio e due traditori, costrinse chiunque entrasse in città  a maledire ad alta voce le teste esposte en plein air.
La sveglia al mattino continua a suonare presto, perché questo è un raid e la media giornaliera prevede di macinare intorno ai 500 chilometri. Con il sole, 20 gradi e le tute senza membrana raggiungiamo Mo I Rana seguendo la strada che in qualche punto ci porta a salire di quota. Cambia di poco l’altitudine, ma il paesaggio è profondamente diverso. Si prova la stessa desolazione nel deserto: è tutto pelato, con la differenza che da qui si gode uno spettacolo di colori. Sugli altopiani a stento crescono i muschi,ma quelli che ci sono abbracciano tutte le tonalità  dal verde al giallo, senza più mimetizzare le renne che si spostano numerose in branco. Guidando verso Harstadt viene da pensare che il Grande Nord abbia una vita propria, per quanto cambia drasticamente il paesaggio. Prima l’acqua diventa ramata, il cielo plumbeo, la vegetazione marmorea; un chilometro dopo le nuvole sembrano zucchero filato su nastri di bitume che tagliano a metà  una vastissima pianura inondata dai raggi del sole. Prima di imbarcarmi in un viaggio del genere ho scartabellato guide, visto centinaia di siti e di foto, ma vederlo sul serio non si può spiegare. A cinquanta chilometri dal Capo siamo euforici, soprattutto perché saremo tra i pochi graziati ad arrivarci con il bel tempo. Dove una volta si prendeva l’ultimo traghetto, ora si attraversa un gelido tunnel sottomarino fino a sbucare sugli ultimi curvoni in salita. Arrivo a Capo Nord trattenendo il fiato e senza rendermene conto sto parcheggiando proprio sotto al suo simbolo, il Globo. L’accozzaglia di turisti con le loro compatte digitali non scalfisce l’idea romantica di arrivare dopo 5.000 chilometri, senza mai un inconveniente. Più su di così, non possiamo andare.
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