Cile, il governo messo all’angolo

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Sono giorni difficili per il presidente della Repubblica cilena, Sebastià¡n Pià±era. Molto difficili. Oggi, nel giorno in cui 40 anni fa il presidente socialista poi ucciso dal golpe di Augusto Pinochet, Salvador Allende, nazionalizzò il rame, parte uno sciopero nazionale dei minatori contro le brame di privatizzazione del governo, che bloccherà  l’intera produzione e che darà  grandi grattacapi all’esecutivo. Non solo perché el cobre rappresenta la metà  delle esportazioni del paese, ma anche perché la protesta cavalca il personaggio simbolo del riscatto dal basso e si inserisce in un clima di malcontento generalizzato che dilaga nelle classi povere e che trascina il capo di stato nei peggiori risultati di gradimento mai registrati da un inquilino de La Moneda da quando esiste la repubblica.

L’inchiesta del Centro de Estudios de la Realidad Contemporà¡nea (Cerc) ha rivelato che il livello di disapprovazione della gestione Pià±era ha toccato il 53 percento e Adimark ha indicato che il lavoro del suo governo non piace al 60 percento dei cileni. “Il presidente ha livelli di disapprovazione più alti di Pinochet. Siamo arrivati a toccare livelli pazzeschi. Pinochet era più popolare di lui“, ha commentato il presidente del Partido Socialista Osvaldo Andrade, unendo ironia a preoccupazione.

A mettere alla prova il governo è stato sia il movimento studentesco, con una moltitudine di gente in marcia per chiedere la riforma dell’educazione che è ancora regolata da leggi della dittatura, sia le grandi proteste contro le centrali idroelettriche in Patagonia, nonché la truffa perpetrata da una grande azienda a migliaia di clienti, che ha messo ulteriormente in cattiva luce un governo considerato di e per gli imprenditori. Tre grandi colpi al cuore che hanno anticipato il quarto, quello di oggi: lo sciopero nazionale del rame. Uno sciopero di 17mila lavoratori della Corporacià³n Nacional del Cobre (Codelco), per dire no alla privatizzazione di questo ente minerario che rappresenta la più grande impresa di rame del mondo. “E’ a rischio l’azienda più importante del Cile. E non lo accetteremo. Dobbiamo difendere il patrimonio cileno”, ha precisato Raimundo Espinoza, dirigente della Federacià³n Nacional de Trabajadores del Cobre. Con loro, in piazza, per solidarietà  e per chiedere la nazionalizzazione del rame anche gli studenti, che dal canto loro hanno appena rifiutato la bozza di riforma che il ministro dell’educazione ha stilato dopo le proteste.

Un Cile in pieno fermento, dunque, che non si sente rappresentato, però, nemmeno nella principale forza di opposizione, ossia la Concertacià³n, considerata molto lontana da quanto chiedono i cittadini. I sondaggi non sono andati per niente bene nemmeno per questo gruppo di partiti di centro-sinistra anche loro al minimo storico del consenso. Eppure, lontani da una riflessione profonda e costruttiva, c’è anche qui una corsa a scaricare il barile sulla maggioranza che non ascolta la gente e che dovrebbe rivedere il ruolo del governo. Sostenuto da una maggioranza che chiede un cambio di uomini chiave messi in crisi dalle proteste. Il più in bilico è il ministro dell’educazione, Joaquà­n Lavà­n, mentre il suo collega alla Minerà­a, Laurence Golborne, vive ancora di rendita per il trionfale salvataggio dei 33 minatori rimasti intrappolati nel sottosuolo.

 


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