Contatti fra Usa ed emissari di Gheddafi

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Se ne devono essere resi conto anche gli «umanitari» (Usa, Nato, Francia, perfino l’Italia del futile Frattini che da qualche giorno, fortunatamente, non esterna). Per rompere la impasse ci vuole un’iniziativa diplomatica, «una soluzione politica» (di cui continua a blaterare anche la Nato fra un bombardamento e l’altro). Ieri il dipartimento di stato Usa ha confermato che dei suoi inviati – che dovrebbero essere Jeffrey Feltman, assistente segretario di stato per il Vicino Oriente, e l’ambasciatore in Libia Gene Cretz – hanno avuto contatti con non meglio specificati emissari libici. L’incontro dovrebbe essere avvenuto sabato a Djerba, in Tunisia. Secondo gli Usa non si è trattato di «negoziati» ma solo della consegna di un messaggio «chiaro e fermo», «semplice e non ambiguo»: Gheddafi se ne deve andare. L’incontro è stato confermato ma letto in modo diverso dai libici. Il portavoce Moussa Ibrahim ha parlato di un «importante passo per riaggiustare i rapporti con gli Usa», sostenuto da Tripoli come «qualsiasi dialogo e iniziativa di pace, a patto che non pretenda di decidere il futuro della Libia dall’esterno», e senza porre «precondizioni». Washington insiste che questi «non sono negoziati» e che non sono previsti nuovi incontri.
Ma sembra chiaro che neanche gli americani ci credono più tanto. Idem per i francesi del bellicossismo Sarkozy, che a quanto pare hanno avuto incontri simili con i libici, sempre a Djerba. Sarko, insieme all’inglese Cameron (che però ora ha altre gatte da pelare), fin dall’inizio della «guerra umanitaria», è il più assatanato dei «volenterosi» (anche perché sul fronte libico si gioca la rielezione del 2012) ma anche lui alterna ormai gli atteggiamenti napoleonici alla diplomazia underground. Oggi dovrebbe ricevere all’Eliseo i capi militari degli insorti di Misurata, accompagnati da quel triste ciarlatano del nouveau philosophe Bernard Henri-Levy, per garantire nuove forniture d’armi dopo quelle, criticatissime e finora inutili, paracadutate agli insorti sulle montagne di Djebel Nefussa. «Il conto alla rovescia è inziato», si è provato a ripetere il ministro della difesa francese Gerard Longuet. Ma sono 5 mesi che ripetono la stessa litania e ormai non ci credono nanche loro.
Chi sta lavorando per una più logica soluzione negoziata sono i russi (che non si sono accodati all’occidente nel riconoscere il Cnt di Bengasi come il «solo rappresentante legittimo» della Libia), i turchi e i sudafricani per conto dell’Unione africana. Lunedì è stato il presidente del Sudafrica Jacob Zuma, ieri è toccato al presidente russo Dmitri Medvedev si è detto convinto che «un compromesso» fra Tripoli e Bengasi è ancora «raggiungibile» e mantiene una posizione «equidistante» fra le due parti (al contrario di Onu e Nato).
Oggi il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov incontrerà  l’omologo libico Abdelati al Obeidi «nel quadro degli sforzi dell’Unione africana per mettere fine allo spargimento di sangue e trovare una soluzione politica».


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