Contro i codici del potere

by Sergio Segio | 31 Luglio 2011 8:33

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Tutte e due le volte mise a confronto i fatti e le testimonianze con le dichiarazioni ridicole, le menzogne patenti e le minacce aggressive di Berlusconi, e ne trasse i suoi dieci quesiti implacabili, come implacabili sono «le dieci bugie» che in seguito gli imputò sul caso Ruby e che tuttora Repubblica impagina ogni giorno.
Non c’era solo, in quel puntuale e ineccepibile esame delle contraddizioni in cui il premier si andava cacciando negando l’evidenza, l’acribìa del cronista giudiziario di razza. Beppe è stato tra i primi a cogliere, del cosiddetto sexgate che lui preferiva chiamare come va chiamato «Berlusconi-gate», la valenza politica, di svelamento di un dispositivo sessuale organico a un dispositivo di governo, quando ancora molte teste coronate del giornalismo non berlusconiano indulgevano sull’ipotesi-gossip o si esercitavano nella tutela della privacy di un matrimonio andato in fumo per colpa di Veronica. Ed è stato insuperabile nell’analisi del regime berlusconiano del vero e del falso, di quella «costruzione a tavolino del falso indiscutibile» – sono parole sue che citano Debord – in cui «confondere e non convincere è la regola», e che lui ogni volta era in grado di smontare pezzo per pezzo e balla per balla. Della lunga serie di articoli – dodici – a commento del caso Ruby intitolata «L’abuso di potere», più d’uno è dedicato specificamente a questo. Così per esempio: «La menzogna stessa è un abuso di potere. Silvio Berlusconi vi ricorre senza parsimonia quando un fallimento politico o le pulsioni di un’ossessione fuori controllo lo costringono in un angolo. Deve ridisegnare ciò che è accaduto, cancellare quel che è stato detto, manipolare quello che sappiamo. È il paradigma che sempre il capo del governo oppone ai fatti nella convinzione che in ogni occasione la forza del suo triplice potere, politico-economico-mediatico, possa piegare la verità », o imporre come unica la sua verità .
Confondere, cancellare, manipolare, denigrare: tecniche di ordinaria amministrazione del potere quando la democrazia perde ogni illusione di trasparenza. Tecniche politiche, contro cui il buon giornalismo non può che diventare, consapevolmente, lotta politica. Beppe lo sapeva e lottava: contro «l’Egocrate», così l’aveva ribattezzato, come aveva fatto contro altri potenti prima di lui e come avrebbe fatto con i potenti che verranno dopo di lui. E questo è davvero uno di quei pezzi che non avremmo voluto ci toccasse di scrivere, né di dedicare a Marina con un immenso abbraccio.

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