Cuba. Governo e chiesa, convergenze parallele

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 L’AVANA.La chiesa cattolica sembra decisa a occupare maggior spazio nella società  cubana. E a farlo con l’accordo, o quantomeno senza l’ostilità , del vertice politico cubano.

La settimana scorsa la versione digitale della rivista cattolica Espacio Laical ha pubblicato un bando di concorso per un master sulla formazione di dirigenti di piccole e medie imprese (Pymes, nell’acronimo spagnolo) e di cooperative. Il corso sarà  riservato a 40 studenti universitari cubani, selezionati dai promotori del medesimo, ovvero il Centro culturale Felix Varela (che dipende dall’arcivescovado dell’Avana) e l’Università  cattolica San Antonio della città  di Mursia (Spagna). Le lezioni, impartite da professori cubani e spagnoli, inizieranno a settembre e proseguiranno fino a giugno del prossimo anno. Ovvero, quando – almeno questa è la speranza della maggioranza dei cubani – il corpo di riforme economiche volute dal presidente Raàºl Castro e approvate a metà  aprile dal sesto congresso del Partito comunista, sarà  in piena attuazione. E quando il governo e l’Assemblea nazionale avranno varato le leggi che regoleranno il settore economico non statale.
Il panorama dell’economia socialista cubana a quel punto dovrebbe essere profondamente rinnovato. La riforma, infatti, prevede più di 300 «proposte di modernizzazione» che ampliano considerevolmente il lavoro privato (fino ad oggi ,circa 320.000 cubani hanno avuto licenze per lavorare por cuenta propria) e aprono la porta alla formazione di piccole imprese private e di cooperative urbane di produzione e servizi. Anzi, questo nuovo settore dovrà , entro tre anni, rappresentare la spina dorsale della nuova economia cubana, producendo circa la metà  del pil. Per questo, si legge in Espacio Laical, il master «si propone di fornire agli studenti lezioni teoriche e pratiche all’avanguardia su come si dirige un’impresa, con un focus speciale rivolto alle Pymes, micropymes e cooperative».
Dopo qualche decennio di relazioni difficili con il potere, la chiesa cattolica ha iniziato dal maggio dello scorso anno un dialogo con il governo, promosso in prima persona dal presidente Raàºl. Il risultato più importante è stata la scarcerazione di 126 prigionieri – di coscienza e politici, secondo l’opposizione -, la maggior parte dei quali si sono trasferiti in Spagna. Ma questo risultato – tanto difficilmente immaginabile solo un anno fa e perciò oggetto di fortissime critiche da parte degli anticastristi di Miami – potrebbe costituire solo la parte emergente di un maggiore attivismo e ruolo dei vertici ecclesiali cubani (con l’appoggio del Vaticano) per favorire l’attuazione di riforme nell’isola. Nei mesi scorsi si è molto speculato su frequenti viaggi dell’arcivescovo dell’Avana, Jaime Ortega, negli Stati uniti: missioni ufficiose del cardinale, si disse, impegnato in una mediazione con l’amministrazione Obama per tentare di sbloccare una situazione ormai incancrenita da più di 50 anni di duro (e nei fatti perdente) embargo Usa. Più volte Ortega si è espresso in favore dell’inizio di un dialogo «senza precondizioni» tra Washington e l’Avana. Non solo, la chiesa avrebbe attivato anche una mediazione con quella parte della diaspora cubana in Florida che ormai non crede più nella linea dell’anti-castrismo senza se e senza ma e si dice disposta a un dialogo con il governo cubano, purché dall’isola giungano «segnali di vere riforme». All’attivismo dell’arcivescovo dell’Avana si è aggiunto, quello degli ambienti cubani riuniti attorno a Espacio Laical, una sorta di laboratorio politico cattolico (rivolto anche alla comunità  Usa) indipendente, ma non ostile al governo. Alcune delegazioni di personaggi legati alla rivista si sono recate negli States.
Uno dei risultati più importanti di tale mediazione potrebbe essere quello proposto il mese scorso da Carlos Saladrigas, un noto imprenditore cubano-americano, in una sua intervista al mensile dell’arcivescovado dell’Avana, Palabra Nueva. Altri imprenditori di origine cubana , ha detto, «sono disposti, come me, a investire nell’isola» se il governo, nella riforma economica, adotterà  «regole universali» per quanto riguarda gli affari. Il 62enne Saladrigas, guida The Vincam Group (basato a Miami è uno dei principali nel settore servizi e impieghi) e dal 2001 presiede il Gruppo di studio su Cuba, che raccoglie numerosi imprenditori e uomini d’affari cubano-americani. Negli anni passati aveva cavalcato la linea dei duri anti-castristi, ma in tempi più recenti ha manifestato maggiore flessibilità  fino ad esprimersi contro il permanere del blocco Usa e lo scorso febbraio ha effettuato un viaggio a Cuba. «Affinché Cuba cambi e prosperi – ha dichiarato – tutti noi cubani (fuori e dentro l’isola) dobbiamo cambiare. Nei rapporti tra persone e tra famiglie. L’esilio cubano già  ha iniziato a farlo».
Le «condizioni» poste da Saladrigas sono chiare: a Cuba «è necessario un cambio di filosofia» che comporti «una legalità  chiara», cioè un corpo di leggi capace di creare un «clima di fiducia» negli affari, e bisogna eliminare «il frenetico desiderio (della burocrazia) di controllare tutta l’attività  umana». Inoltre, Saladrigas sostiene che gli imprenditori cubano-americani dovrebbero essere considerati all’Avana come «capitale nazionale, in associazione con i compatrioti dell’isola, e non come stranieri».
Si tratta di richieste, queste ultime, difficilmente accettabili dal presidente Raàºl, il quale ha più volte ribadito che le riforme hanno lo scopo di «modernizzare e rafforzare il socialismo cubano», non certo di indebolirlo o marginalizzarlo. Secondo molti esperti, però, la questione di un coinvolgimento della diaspora cubana è essenziale per ottenere quegli investimenti di cui l’economia cubana ha un drammatico bisogno. E la posizione dell’influente imprenditore della diaspora potrebbe costituire un inizio per un dialogo, favorito appunto dalla chiesa cattolica cubana.


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