Difendo Mario Cal e la ricerca per le vite salvate al San Raffaele
Ho meditato a lungo sul perché Cal ha voluto porre termine alla sua vita in una forma così violenta. Perché era troppo doloroso dover accettare il fallimento di una vita dedicata alla creazione (in aiuto a Don Verzé) di uno dei più grandi istituti di ricerca biomedica del Paese.
Il punto è: si tratta davvero di fallimento? Purtroppo lo straordinario sforzo ideativo e organizzativo si è accompagnato a un forte disavanzo nella gestione. E poiché gli ospedali sono stati, con una legge sciagurata, definiti «aziende» , il pensiero prioritario, anzi l’assillo, dei presidenti è diventato, ancor più che nel passato, quello di far quadrare il bilancio. Certo, è importante guarire le persone, salvare le vite, scoprire nuovi strumenti; ma il primo grande obiettivo oggi è il pareggio di bilancio. Quante persone avranno guarito e salvato i medici e i ricercatori del San Raffaele? Migliaia certamente, ma come conteggiarle nel fatidico bilancio? È monetizzabile una vita salvata? È possibile quantificare il valore di una vita? È etico farlo? Per il sistema assicurativo sì, con fior di tabelle minuziose; ma per gli ospedali no.
Voglio fare un esempio molto chiaro. Nel mio Istituto (Ieo) abbiamo adottato, studiato e perfezionato una tecnica diagnostica (la Tac spirale) che riduce la mortalità per cancro polmonare. Uno studio americano, pubblicato poche settimane fa, ha dimostrato che la riduzione arriva fino al 20%. Poiché in Italia ci sono 30 mila morti ogni anno per questa malattia (prevalentemente fra fumatori) il calcolo è presto fatto: 6 mila persone possono essere salvate ogni anno. Tuttavia la ricerca e la tecnologia sono costate molti milioni e gli amministratori sono comprensibilmente preoccupati e hanno difficoltà a trovare i fondi per acquistare ora una seconda Tac spirale, per non correre il rischio di «andare in rosso» .
Noi medici naturalmente facciamo notare che la vita di 6 mila persone, secondo i calcoli delle compagnie di assicurazioni, valgono 6 miliardi ogni anno (un milione l’una, in media): questo è il beneficio della ricerca, nostra e di tanti altri centri nel mondo. Ci rendiamo conto di questo, ci rispondono gli amministratori, ma noi dobbiamo garantire il pareggio e le vite salvate non possono essere conteggiate in bilancio. Ancora più difficile la situazione se si tratta di miglioramento della qualità di vita. Come si quantifica (e dunque come si conteggia) la qualità dell’esistenza? Parecchi anni fa sviluppai una ricerca per dimostrare che molte donne con un tumore del seno potevano evitare la devastante mastectomia (l’asportazione totale della mammella) e salvare la propria immagine corporea grazie a una tecnica che avevo messo a punto.
Quando la mia ricerca fu pubblicata nel 1981 sulla più prestigiosa rivista scientifica internazionale (e finì anche in prima pagina sul New York Times) io andai felice a informare il presidente dell’Istituto nazionale tumori, dove allora lavoravo. «Umberto — mi disse— io capisco il tuo entusiasmo, ma la tua ricerca, che è durata otto anni, ci è costata un mucchio di soldi. Sono felice per le donne di tutto il mondo, ma io rischio di finire in tribunale» .
Racconto queste storie nel ricordo dell’amico Cal, sensibile e scrupoloso, che, dopo una vita di impegno e sacrifici, aveva difficoltà ad assorbire l’attacco mediatico al San Raffaele per il dissesto economico. Un attacco violento e brutale, forse anche giustificato per alcuni aspetti, ma che non tiene conto di ciò che sta sull’altro piatto della bilancia: l’enorme quantità di bene, non sempre conteggiabile, che il San Raffaele ha fatto all’umanità .
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