Fiat, «modello Pomigliano» alla prova del tribunale

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TORINO— Dieci minuti costati carissimi, ai tre operai: il posto di lavoro. Dieci minuti che sembrano un lampo, sproporzionato rispetto alle conseguenze: e invece in fabbrica sono «tutt’altro che trascurabili» e sono costati carissimi anche al Lingotto, un «grave danno economico» provocato da un «comportamento illegittimo» e quantificabile nella «mancata produzione di circa 15 auto» .
È il giorno dopo la sentenza di Melfi. La vigilia di un’altra causa Fiom contro Fiat: oggi, a Torino, la seconda udienza del processo intentato contro il «modello Pomigliano» dovrebbe finire già  con un verdetto. Ed è chiaro che sarebbe improprio mischiare le due vicende: l’unica matrice comune è l a guerra totale giurata da Maurizio Landini a Sergio Marchionne (che peraltro non rimane a guardare). Però proprio perché a Melfi era una «quasi» normale causa di lavoro e qui, Torino, Landini punta al bersaglio grosso, punta ad annullare lo schema di Fabbrica Italia pur consapevole che ciò bloccherebbe ogni progetto d’investimento nel Paese, non è difficile intuire il clima. Teso, di nervosa attesa.
Con la maggior tensione e il maggior nervosismo, per la verità , sul fronte Fiom. A Torino il segretario arriverà , dice, «fiducioso» . Ma al di là  dell’enorme punto di domanda su quel che Vincenzo Ciocchetti deciderà  al capitolo «comportamento antisindacale» -nel senso di anti-Fiom, visto che le altre sigle anche in Tribunale sono al fianco della Fiat -lo stesso giudice ha già  riconosciuto che i contratti aziendali non sono uno scandalo. Il 28 giugno, sul tema, Landini ha dovuto incassare un altro colpo: retroattivo o no, proprio su contratti aziendali e rappresentanze anche la Cgil ha firmato l’accordo che ricalca esattamente il «modello Pomigliano» . Ora, sebbene la vicenda faccia parte della guerriglia (ma costata il posto a tre persone) più che d e l l a «grande guerra» Fiom-Fiat, la mazzata di Melfi. Ieri Amerigo Palma, il magistrato del lavoro che nel merito ha annullato la condanna «d’urgenza» inflitta alla Fiat un anno fa, ha reso note le motivazioni con cui ha ribaltato il verdetto del reintegro per Giovanni Barozzino, Marco Pignatelli, Antonio Lamorte (i primi due delegati Fiom, il terzo un iscritto). «Sono indignato, il giudice ha dichiarato che non c’è comportamento illegittimo dei lavoratori ma nei fatti li fa licenziare» , aveva tuonato Landini a caldo. Le motivazioni lo smentiscono.
È vero, scrive Palma, i tre non avevano «nessuna premeditata volontà  di boicottaggio» . Ma davanti ai carrelli-robot, quei dieci minuti di quella notte, si fermarono «coscientemente» o «deliberatamente » per «impedirne il traffico» . E questo è, «comportamento illegittimo: allo specifico fine di determinare l’interruzione» della produzione. Con «grave danno subito dall’azienda» . Che non può essere accusata, per il giudice, nemmeno di attività  antisindacale o anti Fiom. Nel primo caso perché «il comportamento dei tre non è riconducibile al diritto di sciopero» (quella notte, fra l’altro, furono appena 50 su oltre 1.700 a incrociare le braccia).
Nel secondo, «la punizione di soli tre operai» non è, come dicono gli uomini di Landini, «finalizzata a influire sul futuro della lotta» : Palma non vede in Fiat un «progetto aziendale teso a reprimere l’attività  sindacale» . E la Fiom, comunque, tra «lampanti contraddittorietà » dei suoi testimoni, «di tale tesi non ha fornito alcuna adeguata prova» . A Torino accadrà ?


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