Il duello (e l’equivoco) tra la Cancelliera e Trichet

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Una delle ragioni è la differenza tra il punto di vista della Bce e quello del governo tedesco. La Germania sostiene con forza che i costi dell’aiuto ad Atene devono essere pagati non solo con le tasse dei cittadini europei ma anche dalle banche e cioè dai privati; la Bce è contraria a un loro coinvolgimento in quella che, tecnicamente, viene chiamata ristrutturazione del debito greco. Perche la Bce è contraria al coinvolgimento dei privati nella ristrutturazione del debito greco? Il punto di vista della banca centrale va capito, perché dietro tale atteggiamento si colloca una concezione precisa dell’architettura dell’euro e la discussione che implicitamente coinvolge. Qualora i privati venissero coinvolti nella ristrutturazione del debito e accettassero delle perdite, per la Grecia si tratterebbe di una bancarotta di fatto. La Bce per assolvere ai suoi compiti di finanziamento delle banche, non potrebbe accettare titoli pubblici greci come garanzia perché questi avrebbero valore zero. E se li accettasse significherebbe sussidiare implicitamente chi possiede debito greco. I costi dell’operazione sarebbero perciò sostenuti dalla Bce e non dai governi europei. La Banca centrale europea, rifiutandosi di accettare titoli greci in caso di «default» , cioè di bancarotta di fatto, difende un principio importante: quello della separazione tra politica di liquidità  e politica di bilancio. Secondo questo principio, una banca centrale ha la responsabilità  di mantenere la liquidità  necessaria al funzionamento dei mercati finanziari offrendola senza limiti alle istituzioni che ne hanno bisogno, ma in cambio di titoli di garanzia di qualità . Se invece una banca o uno Stato hanno problemi di solvibilità  sui loro debiti, il compito di risolverli deve essere affidato allo Stato sovrano stesso che ha vari strumenti a sua disposizione per affrontarlo. Confondere le responsabilità  può creare gravi problemi di governo dell’economia con conseguenze potenzialmente pericolose per la stabilità  finanziaria e dei prezzi. Questa è la logica della Bce e il principio che sta dietro alla posizione di Jean-Claude Trichet nella discussione con Angela Merkel. Il problema però è che questo principio è chiaro in economie dove autorità  monetaria e di bilancio rispondono, pur nella loro autonomia, alla stessa giurisdizione. Non lo è in una situazione come quella delle economie dell’euro dove l’autorità  di bilancio risponde ai singoli governi e l’autorità  monetaria al Parlamento europeo. Nella prima situazione ognuno fa la sua parte. L’indipendenza della banca centrale garantisce che l’inflazione rimanga sotto controllo senza cedere alla pressione da parte del Tesoro per la monetizzazione del debito pubblico, ma nel caso estremo di crisi sovrana o bancaria la banca centrale è il cosiddetto prestatore di ultima istanza sia verso le banche che verso il governo. Se gli Stati Uniti fossero vicini alla bancarotta, la Federal Reserve comprerebbe titoli pubblici. Il rischio sarebbe l’inflazione ma il default verrebbe evitato e questo i mercati lo sanno. Le economie dell’euro non hanno questa possibilità . La Bce non può comprare debito greco, cosa peraltro impedita dal Trattato dell’Unione europea concepito così proprio per evitare che la Banca centrale fosse costretta a cedere alle pressioni di governi in difficoltà  esponendo tutti i Paesi al rischio di inflazione. Il problema è che questo principio, in assenza di un meccanismo che permetta un trasferimento fiscale alla Grecia, ci espone a speculazioni dei mercati sulla possibilità  del «default» dei vari governi. L’architettura della zona euro è quindi incompleta. Se vogliamo preservare la moneta unica e il suo governo dobbiamo mettere la questione dell’integrazione fiscale europea al centro del dibattito. Implicitamente la Bce spinge in questa direzione sperando che a quello si arrivi per passi progressivi sull’onda della necessità . Si crede che sia, infatti, politicamente irrealistico porre questa questione apertamente di fronte ai cittadini. Soprattutto nel clima sempre piu xenofobo del Nord Europa, preferendo soluzioni tecniche la cui coerenza non è immediatamente chiara. Tuttavia i fatti recenti mostrano che, senza uno strumento fiscale e di bilancio dell’Unione, i Paesi dell’euro sono soggetti a un continuo pericolo di instabilità  finanziaria, a un alto costo del finanziamento del debito pubblico e alla necessità  di politiche di austerità  eccessivamente severe che strozzano la crescita. Una minima unione fiscale e di bilancio europea comporterà  certamente dei costi in termini di tassazione, ma anche dei vantaggi. Questo dibattito si deve fare apertamente e non solo dentro i comitati tecnici dell’Europa. E la Bce dovrebbe prendere la leadership di questa discussione.


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