Il leopardo dell’Hindu Kush

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La notizia è sul Journal of environmental studies, rivista scientifica di studi ambientali che riferisce della ricerca condotta da un gruppo di scienziati dalla Wildlife Conservation Society, istituzione conservazionista che ha sede presso lo zoo del Bronx, a New York. Il loro studio si è fondato apppunto sulle rilevazioni delle macchine fotografiche nascoste: queste hanno catturato le immagini di 30 diversi esemplari di leopardo delle nevi in 16 postazioni tra l’aprile del 2009 all’agosto 2010. Per i ricercatori «è una notizia stupenda, mostra che c’è ancora speranza per il leopardo delle nevi in Afghanistan», ha dichiarato Peter Zahler, vicedirettore del programma per l’Asia dell’istituzione conservazionista newyorkese.
Strano paradosso che una regione di conflitto si riveli una sorta di rifugio per un animale in pericolo. Il leopardo delle nevi, Panthera uncia, è inserito nella «lista rossa» dell’Unione internazionale per la conservazione della natuta (Iucn), che elenca così le specie più minacciate. Benché sia chiamato leopardo, in realtà  è classificato nel gruppo Panthera – quindi è più vicino alla tigre (Panthera tigris) o al giaguaro e al leopardo. E’ una specie specifica delle catene montagnose dell’Asia centrale, e secondo gli autori della ricerca, gli avvistamenti compiuti in Afghanistan non dicono tanto che la popolazione di leopardi delle nevi qui sia abbondante – dicono piuttosto che gli sforzi e le tecniche di monitoraggio si sono affinate. In generale, la Iucn stima che la popolazione di questo felide sia declinata del 20% negli ultimi 16 anni, e che ne restino tra 4.500 e 7.500 esemplari alo stato selvatico, sparsi in una dozzina di paesi dell’Asia centrale. La Panthera uncia è minacciata grossomodo dagli stessi fattori che minaciano di sterminare i suoi «cugini», come la tigre: in primo luogo il fatto che si va restringendo l’ecosistema a cui può attingere – il territorio di caccia, per dirla altrimenti: così fa sempre più fatica a trovare prede (il leopardo delle nevi si ciba di varie specie di capridi d’alta montagna). Lo sviluppo dell’allevamento di bestiame ha contribuito al declino delle potenziali prede selvatiche (e gli allevatori ovviamente non si lasciano derubare delle proprie capre dal leopardo). Poi c’è il bracconaggio, che alimenta un traffico illegale: il leopardo delle nevi, come anche le varie specie di tigre, è ricercato per le pelli e per ossa e altre parti: pare che il numero di bracconieri o intermediatori che trasferiscono in Cina pelli e ossa di leopardi delle nevi sia aumentato, segno che la domanda è aumentata.
Diversi programmi scientifici stanno cercando di studiare meglio i movimenti di questo felide, in modo da identificare i «corridoi» in cui si muove, critici per mantenere in salute la specie. Ma ormai tutti i conservazionisti sono convinti che coinvolgere le comunità  locali è cosa essenziale per salvare specie ed ecosistemi minacciati. E in questo significa che la Wildlife Coservation Society newyorkese ha avviato un programma di educazione ambientale nelle scuole del Wakhan – quella striscia di Afghanistan lunga circa 350 chilometri incastonata tra il Tajikistan a nord, il Pakistan a sud e per un breve tratto la Cina a est. Non solo, è stato avviato un programma per addestrare 59 guardie forestali a monitorare la popolazione di specie minacciate e far osservare il divieto di cacciarle. Si dirà  che in Afghanistan hanno ben altri problemi da risolvere: ma a ben guardare il bracconagio rientra nello stesso quadro di sfruttamento selvaggio di ogni risorsa naturale, deforestazione, danni provocati dal conflitto e dalle mine, masse di sfollati interni che hanno bisogno di cibo e legna da ardere che oggi rende difficile la vita degli afghani.


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