Il norvegese che amava Kafka e odiava l’Islam “Le mie azioni sono atroci, ma necessarie”

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ASTA (Est NORVEGIA)
Sulla riva del fiume Glomma, fra gli abeti dell’Hedmark, facce nere o gialle se ne vedono poche. Forse era per questo che Anders Behring Breivik si era rifugiato da queste parti.
QUI, nel cuore agricolo della Norvegia, ben lontano da Oslo e dalla sua odiata promiscuità  culturale. O forse il motivo del trasloco era la pace: la possibilità  di miscelare tranquillamente le sei tonnellate di fertilizzante a base di nitrato d’ammonio con gli altri ingredienti necessari per la bomba. La polizia norvegese ne è convinta: l’autobomba che ha straziato il centro di Oslo era carica di esplosivo fatto in casa, con tutta probabilità  fra il granaio e la residenza in legno bianco della fattoria Breivik Geofarm.
Gli ultimi cinque sacchi da 600 chili sono ancora lì, a lato del vialetto, bianchi con il simbolo della fabbrica chimica Yara, una piccola nave vichinga su fondo blu. Breivik aveva ordinato per telefono il fertilizzante, forse per non apparire nei negozi. «Non possiamo venderli a tutti, ma solo agli agricoltori. Se però uno è registrato come tale, nessuno gli chiede niente. E sei tonnellate è una quantità  normalissima», spiegano i commessi del vicino emporio Felleskjopet, a Rena.
Nella pace della casetta di legno, Breivik si tormentava sul futuro della sua Norvegia, minacciata dalla modernità . Difficile credere che la sua preoccupazione fosse la ricchezza del raccolto: basta guardare i campi trascurati. «Forse allevava api, ci sono delle arnie, sotto», dice il comandante dei poliziotti che controllano la fattoria. O più probabilmente, stava pianificando il massacro dei ragazzi nel campeggio di Utoya, dettaglio per dettaglio, dalla barca necessaria per arrivare all’isola, fino all’uniforme della polizia, utile per non allarmare i ragazzi, radunarli in pace e ucciderli uno per uno.
Ha confessato, Anders Behring Breivik: quanto meno ha confessato di essere l’assassino dei piccoli laburisti, non di essere l’organizzatore dell’attentato di Oslo. E la sua confessione, assieme al racconto dei sopravvissuti, serve a delineare il personaggio. «Le mie azioni sono state atroci – ha riconosciuto al suo avvocato – ma necessarie». Persino l’abbottonatissimo poliziotto di guardia alla fattoria si stupisce dell’epilogo: «In genere chi commette massacri del genere, poi si toglie la vita».
Breivik invece no. Si è arreso alle forze speciali della polizia dopo un’ora e mezzo di sparatoria tranquilla e metodica sui ragazzi. Le testimonianze dei sopravvissuti parlano di un assassino «calmissimo», che si assicurava di aver fatto un buon lavoro con un secondo colpo in testa per ogni caso dubbio. Freddo, professionale. D’altronde non era uomo da riferimenti modesti. Nei mesi scorsi aveva postato su Twitter una citazione di John Stuart Mills: «Una persona con una fede ha la forza di 100.000 che hanno solo interessi».
Attorno alla casa bianca di legno, oltre i nastri stesi dagli agenti e marchiati “Politi”, il terreno è incolto. Nello spiazzo fra la casa e il granaio il furgoncino degli investigatori è aperto, due tecnici forensi con la mascherina sul viso fanno la spola fra gli edifici e la vettura. Per ora gli investigatori non parlano: non si sa se era nella pace della campagna che Breivik ha concepito e pubblicato il suo profilo Facebook, sparito da internet ma reso pubblico dalla stampa norvegese.
Celibe, cristiano e conservatore, si definiva lui sulla pagina del social network. La scelta delle informazioni pubblicate e le sue foto in posa, levigatissime, fanno quasi pensare a un progetto narcisista, lucido pur nella follia. Era orgoglioso di far conoscere la sua passione per videogiochi come World of Warcraft o Modern Warfare, per libri come “1984” di George Orwell, “Il processo” di Franz Kafka e “Il principe” di Niccolò Machiavelli. Fra i suoi interessi, la caccia, il body building e la massoneria. Il ritratto di una persona tradizionalista, con interessi culturali. Ma oltre alle foto, la nota stonata è nella voce “amici”, completamente vuota. E no, non era solo la necessità  di privacy, la legittima voglia di star da solo, nella pace della terra delle alci. Se la versione recuperata dalla stampa norvegese è corretta, più che uno strumento per le relazioni sociali, quel profilo sembra quasi una specie di “testamento”, lasciato forse in previsione di gesti clamorosi.
Sul social network, Breivik non parlava delle armi: la stampa norvegese ha scoperto la sua affiliazione in un gruppo di tiro, che gli permetteva di tenere armi legalmente registrate. Per la polizia il 32 enne non era conosciuto come estremista, ma gli amici ricordano il passato nel Partito del Progresso, fortemente conservatore. Le idee «anti-islamiche» e «fortemente nazionaliste» vengono fuori dai messaggi nei forum su internet, in cui Breivik si opponeva all’idea della convivenza fra diverse culture. Fra le ombre degli abeti, anche Gro Harlem Brundtlandt, storica premier laburista negli anni 1981-1996, era vista come «l’assassina del paese», perché aveva applicato le sue politiche libertarie e antirazziste.


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