Il ritardo dell’Italia sui diritti dei gay

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Il kit dovrebbe comprendere due libri appena pubblicati dal Saggiatore, Disgusto e umanità  di Martha Nussbaum e L’abominevole diritto di Matteo Winkler e Gabriele Strazio; una fotocopia dei saggi apparsi sulla rivista Aggiornamenti sociali nel 2008; una fotocopia della sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010.
Filosofia, etica, regole del dibattito pubblico, diritti: questi i punti di vista che s’intrecciano in quei documenti. Con un comune denominatore: tre parole forti – umanità , dignità , eguaglianza. E un interrogativo comune: è legittimo escludere le persone omosessuali dal riconoscimento di diritti fondamentali?
A New York hanno appena detto che non è possibile, e il Senato di quello Stato ha riconosciuto alle persone omosessuali il diritto di sposarsi. Non è una novità  in assoluto, perché sei Stati americani lo avevano già  fatto, e questa è la strada seguita in Europa da Spagna, Olanda, Belgio, Norvegia, Svezia, Portogallo. Ci si allontana progressivamente dal “disgusto” per i comportamenti omosessuali, che Martha Nussbaum analizza mostrando come quel disgusto altro non sia che «un rifiuto fondamentale della piena umanità  dell’altro». Un rifiuto che in Italia persiste, anzi si è rafforzato negli ultimi anni con l’esibito ricorso a un linguaggio violento da parte di politici autorevoli (si fa per dire), che ha accompagnato il ritorno esibito di una omofobia che sfocia in aggressioni, e che ha impedito l’approvazione in Parlamento di una modesta norma in questa materia.
È possibile riprendere il cammino verso quella “politica dell’umanità ” invocata proprio da Martha Nussbaum? O l’Italia è condannata a rimanere prigioniera, chi sa per quanto tempo ancora, di un “abominevole diritto” che non garantisce alle persone omosessuali pieno rispetto, eguaglianza, dignità ? Qui si coglie l’eguaglianza nel suo momento più profondo, nel tessersi delle relazione personali e affettive, nella libera costruzione della personalità . Qui, dunque, all’eguaglianza è dovuto un particolare rispetto: per la delicatezza delle situazioni che le sono affidate, le garanzie devono essere più intense e sincere. Ma non è soltanto una questione di eguaglianza. È anche, o soprattutto, una questione di dignità . Dopo la rivoluzione dell’eguaglianza, infatti, i tempi più recenti hanno conosciuto la rivoluzione della dignità . «La dignità  umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata»: così si apre la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. E la nostra Costituzione ci dà  una indicazione ancora più precisa. La norma sull’eguaglianza, l’articolo 3, si apre con parole particolarmente forti e significative: «Tutti i cittadini hanno pari dignità  sociale». Eguaglianza e dignità , dunque non possono essere separate, e quest’ultima si presenta immediatamente come dignità  “sociale”, dunque come principio che regola i rapporti tra le persone, il nostro essere nel mondo, il modo in cui lo sguardo altrui si posa su ciascuno di noi.
«Per vivere – ci ha ricordato Primo Levi – occorre un’identità , ossia una dignità ». La persona, dunque, non può essere mai separata dalla sua dignità . La rottura di questo nesso ci precipita nell’indegnità , nella costruzione di “non persone”, o almeno verso forme insidiose di segregazione. Si devono, dunque, rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali.
Insormontabile l’ostacolo rappresentato dall’opposizione della Chiesa cattolica? Ho ricordato Aggiornamenti sociali, la rivista dei gesuiti, dove, sia pure con molta prudenza e una permanente ostilità  all’ammissione del matrimonio, si scrive che «risulterebbe contrario al principio di eguaglianza escludere dalle garanzie certi tipi di convivenze, segnatamente quelle tra persone dello stesso sesso». Poiché si tratta di diritti fondamentali della persona, il riconoscimento «è istanza morale prima che garanzia costituzionale». E la Chiesa valdese, contestando una interpretazione restrittiva dei testi biblici, proprio in questi giorni ha “benedetto” l’unione di due persone omosessuali appartenenti alla sua comunità .
Insormontabili gli ostacoli giuridici? La sentenza della Corte costituzionale del 2010 è stata criticata per aver dato una lettura chiusa della norma sul matrimonio invece di partire dal principio d’eguaglianza. Ma ha comunque riconosciuto la rilevanza costituzionale delle unioni omosessuali, poiché siamo di fonte ad una delle “formazioni sociali” di cui parla l’articolo 2 della Costituzione, sì che alle persone dello stesso sesso unite da una convivenza stabile «spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». Sono parole impegnative: un “diritto fondamentale” attende il suo pieno riconoscimento. E la Corte aggiunge: «può accadere che, in relazioni a ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità  di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale». Una barriera è caduta. Il Parlamento non potrà  usare l’argomento, utilizzato in passato, di un presunto obbligo di non creare “contiguità ” tra disciplina del matrimonio e disciplina delle unioni di fatto, argomento già  divenuto improponibile in base alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Gravi, allora, sono il silenzio e l’inerzia di un Parlamento timoroso e incapace di comprendere la società .
Certo, un matrimonio di “serie B” può esser visto come una rinnovata forma di segregazione. Ma una ripresa del tema generale delle unioni civili, comprese quelle omosessuali, aprirebbe comunque una fase diversa. Il diritto comincerebbe a riscattarsi dal suo abominio, riprendendo almeno la sua forza simbolica, la sua funzione di legittimazione di comportamenti civili, di rispetto profondo per l’altro. Martha Nussbaum ha detto che, «se mi risposerò, sarò preoccupata del fatto che sto godendo di un privilegio negato alle coppie dello stesso sesso». Riecheggiava così le parole del suo amatissimo Walt Whitman, il visionario cantore della libertà  americana: «Io non accetterò nulla che tutti non possano avere allo stesso modo».


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