Italia: no alla caccia “sempre in deroga”, si alla biodiverità
Si tratta di una richiesta non certo impossibile a patto di “rispettare semplicemente la legge” e questa volta applicando “senza deroghe regionali” la legge 157/92 integrata con la nuova norma Comunitaria 2009 nata per garantire la massima tutela alle specie di uccelli selvatici riducendo la durata della stagione venatoria e il numero delle specie cacciabili.

 “Le Regioni e le Provincie – avvertono gli ambientalisti – dovranno tenere obbligatoriamente conto di queste regole, derivanti dalle norme europee e internazionali, nel rispetto delle indicazioni date anche dalla Guida dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) 2010 e che rappresentano non dei semplici ed eludibili pareri, ma gli standard minimi e uniformi di tutela ambientale”.
Stando alle indicazioni dell’ISPRA dunque è attesa una rivoluzione per i calendari venatori, con un’immediata contrazione dei periodi di caccia, ma la rete ambientalista teme il mal costume tutto italiano delle deroghe e il rischio di veder cancellare i limiti entro cui la stagione venatoria può essere consentita, attualmente compresi tra il 1 settembre e il 31 gennaio. Allungando ulteriormente i periodi di caccia – continuano le associazioni – si apre ad una nuova fase di deroghe regionali, oltre quelle già costate all’Italia il deferimento alla Corte di Giustizia Europea e l’ormai imminente condanna”.
Da qui l’appello per avere calendari venatori sensati “per evitare violazioni alle norme nazionali e comunitarie e un grave e irreparabile danno al patrimonio pubblico, di cui chiederemmo di rendere conto alla magistratura non solo amministrativa […] visto che saremmo davanti ad un vero e proprio inganno ai danni della natura, dell’Europa e dei cittadini italiani, al 90% contrari ad ogni forma di deregulation venatoria”.

 Si tratta di una raccomandazione che in questi giorni fa eco anche alla sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato le leggi regionali della Lombardia e della Toscana sull’utilizzo dei richiami vivi nella pratica venatoria e che rappresenta “un monito per tutte le altre regioni che intendono legiferare in tale senso”. Lo ha dichiarato la portavoce del Gruppo Parlamentare Diritti degli Animali del Popolo della Libertà , Fiorella Ceccacci Rubino, che ha appreso la notizia proprio dalle associazioni ambientaliste ed animaliste.
“La fauna selvatica – ha aggiunto la Rubino – è patrimonio indisponibile dello Stato tutelata da norme e principi nazionali, comunitari e costituzionali. Ben venga questo ulteriore pronunciamento della Corte Costituzionale che dirime anche la questione dell’eccessivo utilizzo delle deroghe alla normativa nazionale, che previste solo in casi eccezionali, sono diventate uno strumento spregiudicato per aggirare la legge nazionale a tutela della fauna selvatica”.
Ma il morbido atteggiamento dell’Italia in tema di tutela del patrimonio faunistico nazionale non sembra isolato. “Il 21 giugno – ci ha ricordato la LIPU – il Consiglio europeo dei ministri dell’Ambiente ha approvato la Strategia dell’Unione europea per la biodiversità con i suoi sei obiettivi per invertire il declino degli ecosistemi entro il 2020. […] Ma il Governo italiano, ha incomprensibilmente osteggiato l’approvazione del documento” in modo del tutto incoerente con gli impegni presi al vertice della biodiversità a Nagoya lo scorso anno e con la Strategia Nazionale per la Biodiversità approvata a Roma sempre nel 2010.
“Il governo italiano corregga subito la rotta e non abbandoni la linea positiva che sembra aver intrapreso il resto dell’Europa, su un tema ormai focale per il futuro del pianeta quale la conservazione della diversità biologica” ha auspicato la LIPU ricordando che “sarà la rapida attuazione della Strategia Nazionale per la Biodiversità che rappresenta il principale strumento con il quale Stato e Regioni dovranno dare attuazione alla Strategia europea” a misurare questa volontà .
La Strategia della Biodiversità europea fornisce sei obiettivi e campi di azione per affrontare il crollo della biodiversità , che vanno dalla corretta gestione della Rete Natura 2000, la rete europea di aree protette, alla lotta contro la diffusione di specie esotiche invasive, al ripristino degli habitat per sostenere i Paesi in via di sviluppo nei loro sforzi di conservazione della natura. “La Strategia evidenzia, inoltre, in modo chiaro – ha precisato la LIPU – il ruolo chiave svolto dai due settori sotto il controllo dell’Unione europea che si basano sulle risorse naturali: agricoltura e pesca”.
Adesso occorre “trovare il coraggio politico di agire ponendo il bene comune davanti agli interessi di parte e non lasciare la Strategia solo sulla carta” ha concluso la LIPU a nome delle associazioni ambientaliste italiane, magari con riforme importanti a cominciare dalla compatibilità tra lo sforzo della pesca e la capacità di rigenerazione degli stock ittici, l’estensione degli schemi agro-ambientali favorevoli alla biodiversità e l’intransigente controllo sulla caccia.
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