L’ «altra metà del cielo» tradita dai giganti d’Asia Cina e India: più aborti selettivi, meno donne
Ma il punto è proprio questo: nella Repubblica Popolare, come nel Subcontinente, parliamo di «esempi di successo» , di donne che ce l’hanno fatta, di casi da primato. Ma per la stragrande maggioranza, per le centinaia di milioni di ragazze che non hanno la sorte di nascere in una famiglia affluente, o comunque vengono al mondo lontano dai centri urbani, che prospettive offre l’esistenza?
Qualche dato statistico, per quanto arido, può aiutarci a capire. In Cina, il rapporto tra neonati maschi e femmine è di 120 a 100. In India i numeri dicono 109 a 100. In entrambi i casi la norma dovrebbe essere di 105 maschi per 100 femmine. Cosa significa tutto questo? Che nella Repubblica Popolare, dove vige ancora la legge sul figlio unico, e in India, le coppie preferiscono tuttora avere un maschio (o comunque meno femmine nel caso indiano, dove non ci sono limiti legali alla procreazione). E perciò sono aumentati a dismisura gli aborti selettivi, per quanto vietati. Sono le campagne a condurre questo triste fenomeno.
In Cina, perché la cultura ancestrale assegna all’uomo il compito di trasmettere il nome del clan, aiutare i genitori nei campi e sostenerli nella vecchiaia. In India, perché tradizione vuole che una ragazza, per sposarsi, debba portare una dote alla famiglia del marito: più figlie femmine, più costi da sostenere.
Tutto questo ha un prezzo per la società . Perché la carenza di donne porta a un aumento della compravendita di mogli e della prostituzione: adolescenti sono rapite da criminali che le rivendono a centinaia di chilometri da casa.
«È fondamentale ridurre il disequilibrio tra i due sessi» , ha detto all’agenzia Nuova Cina Li Bin, ministro di Pechino per la Pianificazione Familiare. Altroché. Mao diceva che le donne «reggono l’altra metà del Cielo» . Gandhi ripeteva che «chiamare la donna sesso debole è una calunnia» . Grandi uomini con una grande visione. Solo in parte realizzata. La storia di Cina e India è avara di personaggi femminili entrati negli annali. A Pechino, nell’ultimo periodo della dinastia Qing (1644-1911), il governo era retto (dietro una cortina) dall’imperatrice madre, Ci Xi. Dopo di lei soltanto la moglie del Grande Timoniere, Jiang Qing, ha avuto un ruolo prominente (per quanto ricordato, oggi, con orrore) e, per venire ai giorni nostri, la donna che ha raggiunto il più alto profilo è ancora Wu Yi, primo vicepremier fino al 2008. Al momento ci sono solo uomini nell’Ufficio politico del Comitato Centrale (il fulcro del potere a Pechino), come nessuna provincia è governata da un’esponente dell’ «altrametà del Cielo» .
In India, l’ascesa femminile segue l’indipendenza dagli inglesi: un esempio per tutte, Indira Gandhi o, più di recente, l’ «italiana» Sonia Gandhi e Mayawati, la regina dei dalit, gli intoccabili, capo del governo nell’Uttar Pradesh. Donne straordinarie e rare: e qui emerge il contrasto tra i traguardi raggiunti da poche e la realtà della stragrande maggioranza. Come se l’età feudale non fosse mai tramontata e anzi coesistesse con una modernità a macchia di leopardo che provoca non pochi conflitti sociali «destinati ad aumentare» , come ha sostenuto con il Financial Times G. D. Bakshi, della Vivekananda International Foundation, think-tank di New Delhi: «Assisteremo a un incremento dei disordini, interni ed esterni. L’armonia sociale non può essere raggiunta senza un’effettiva eguaglianza» .
Anche le autorità della Repubblica Popolare non sono contente di una realtà così poco lusinghiera. Dal 1997 la Cina è precipitata dal 16esimo al 62esimo posto in una c l a s s i f i c a d e l l ’ O n u s u l l a rappresentatività delle donne nella politica. «La verità tuttavia — dice Zhou Xiaoqiao, della Federazione delle donne cinesi — non è che il nostro Paese sia peggiorato: sono gli altri che hanno fatto passi in avanti» . Curioso che in certi settori, come negli affari, Cina e India abbiano sempre più esponenti femminili in cima alle classifiche internazionali: dalle cinesi Zhang Yin, 53 anni (patrimonio: 5,6 miliardi di dollari), Wu Yajun, 46 (4,8 miliardi) e Chan Laiwa, 69 (4 miliardi alle indiane Savitri Jindal, 60 anni (14,4 miliardi), Shikha Sharma, 50 (3,4 miliardi), e Indu Jain, 74 (2,6 miliardi). È interessante scoprire come Savitri Jindal (industria dell’acciaio), considerata la più ricca delle donne nel Subcontinente, preferisca «occuparsi della famiglia e dei nipoti» , e lasciare ai figli (maschi) la gestione operativa dell’azienda: e qui torniamo al punto di partenza.
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