La democrazia minacciata da oscuri complotti

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Prima dell’uscita alcune ragazze distribuiscono un volantino ai tunisini: è un appello ad andare a iscriversi alle liste elettorali per partecipare alle elezioni per la costituente il 23 ottobre.
Finora solo il 2 per cento dei tunisini si è iscritto e la scadenza, fissata per il 2 agosto quando inizia il ramadan, si avvicina. L’insistente campagna pubblicitaria per le strade, sui giornali e alla televisione, promossa dall’Istanza superiore indipendente per le elezioni, non sembra tuttavia scuotere l’indifferenza o la sottovalutazione dei tunisini. Anche i residenti all’estero si devono iscrivere presso i consolati.
La sera a La Goulette, periferia di Tunisi, i ristoranti sono pienissimi, le spiagge anche, fino a notte fonda, l’aria del mare permette di sopportare il caldo. È la spiaggia più popolare di Tunisi, qui vivevano anche molti italiani, come si vede ancora dai nomi dei ristoranti. Qui è nata anche Claudia Cardinale, ricorda qualcuno con orgoglio. Alcuni chioschi diffondono musica maghrebina. «Come puoi pensare che questa gente possa accettare un regime islamico?» sottolinea un’amica: «Non siamo l’Algeria!». È vero, è difficile immaginare l’imposizione di regole coraniche ai tunisini, eppure gli algerini non erano molto diversi prima dell’avanzata islamista.
Quando chiediamo a un gruppo di ragazze e ragazzi se si sono iscritti alle liste elettorali cadono dalle nuvole, chissà  se sono stati tra i giovani della rivoluzione, non sembra. Alla fine mostrano qualche incrinatura nella loro superficialità  e, forse solo per compiacerci, ci lasciano credere che faranno il loro dovere. In fondo bastano pochi minuti per iscriversi alle liste elettorali, almeno in città , mentre nelle zone rurali è più complicato. Continuiamo il nostro “sondaggio” con due ragazze in un bar del parco Belvedere, un posto tranquillo dove si ritrovano le coppiette. Sonia e Salwa si sono già  iscritte anche perché come molte donne cominciano a temere gli islamisti, non tanto per la possibilità  che ottengano i voti della maggioranza ma perché possano approfittare del disinteresse della maggioranza.
in Tunisia restano pochi giorni per evitare il fallimento di una delle prime prove del processo democratico. Non l’unica.
Da una settimana, dopo le rivolte dello scorso week end, che hanno visto anche l’assalto di caserme per rubare le armi a Menzel Bourghiba, il pericolo di una degenerazione è tangibile. Alcune città  sono sotto coprifuoco.
A una riunione del Fronte delle donne per l’uguaglianza, un’amica riceve una telefonata da un cugino di Bizerta: dice che il matrimonio della figlia è sospeso, non ci sono le condizioni per celebrarlo, in città  bande armate impediscono feste e celebrazioni, a volte è dovuto intervenire l’esercito per evitare il peggio. Le intimidazioni, soprattutto contro le donne, si diffondono anche a Tunisi. Le donne prese di mira vengono fotografate, basta un cellulare. Che cosa faranno con queste foto? Si spera che servano solo come minaccia.
La moschea al Feth, nel centro di Tunisi, è il punto di ritrovo dei salafiti, sul marciapiede si vende di tutto: veli, djellabah, corani. Dicono che serve ai fratelli usciti dal carcere per racimolare di che sopravvivere. Secondo altre voci invece, coloro che sono usciti dal carcere alla caduta di Ben Ali sono stati risarciti e ora restituiscono i soldi anticipati da Ennahda, il movimento islamico (legalizzato dopo la caduta del regime di ben Ali) che, pur essendo allora clandestina, aveva mantenuto le famiglie degli islamisti detenuti. Un brutto colpo per Ennahda èlla nuova legge sui partiti, appena approvata, che vieta di ricevere finanziamenti dall’estero: la maggior parte dei fondi degli islamisti tunisini arriva dai paesi del Golfo, Arabia saudita in testa.
L’atteggiamento dei leader di Ennahda, che dalla legalizzazione del partito usano un doppio discorso – uno ufficiale moderato e uno più radicale con la base -, comincia a cambiare. I leader «moderati» sembrano travolti dalla radicalità  della base. Prima volevano le elezioni subito, poi hanno dovuto accettare il rinvio, adesso non si capisce se contano ancora sulle elezioni o, temendo di non farcela, cerchino la scorciatoia alimentando una rivolta violenta. Le violenze degli ultimi giorni non sono state condivise dai leader islamisti, Rachid Ghannouchi in testa, ma giustificate: dicono che è l’impazienza dei giovani, che sono stati privati della religione per molto tempo e adesso vanno educati all’islam. Inoltre non è chiaro il rapporto tra Ennahda e altri gruppi religiosi – non legalizzati – come i salafiti di Tahrir, che puntano esplicitamente sulla violenza.
La Tunisia pur essendo un paese laico non ha mai rinunciato alla religione, ma non ci sono solo musulmani (che pure sono la stragrande maggioranza): ci sono ebrei con le loro sinagoghe e cristiani con le chiese. Finora non ci sono mai stati problemi per le minoranze, in futuro chissà .
I timori di una degenerazione si sono fatti più concteri dopo che, lunedì scorso, il premier Béji Caà¯d Essebsi ha denunciato un piano di destabilizzazione del paese fomentato da estremisti e in particolare integralisti religiosi.
Per contrastare i disegni di destabilizzazione ieri a Tunisi è sceso in piazza il Polo democratico modernista (Pdm), formato da diversi partiti e associazioni, tra i quali Ettajdid, Partito democratico progressista, Partito socialista di sinistra, Partito dei lavoratori tunisini (costituito da sindacalisti dell’Ugtt) e Iniziativa cittadina. Con un corteo lungo via della Libertà  – con gli slogan Tunisia libera e democratica, Tunisia libera dagli estremismi, Vogliamo votare in pace, No alla violenza – giovani, donne e uomini hanno rivendicato i contenuti della rivoluzione.
Il premier Essebsi non ha fatto nomi, quando ha denunciato piani di destabilizzazione. Ma esiste questo piano, chiedo a Latifa Lakhdar, vicepresidente dell’Alta istanza per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione, che incontro alla manifestazione. «Il piano esiste, il presidente non ha fatto nomi per non far precipitare la situazione, ma il governo è a conoscenza di chi c’è dietro questo piano». I più aggressivi sono per ora gli islamisti, non ha paura di una deriva islamista? «Certo viviamo nell’angoscia, ma non penso che la storia della Tunisia possa permettere che il potere vada agli islamisti, abbiamo sempre avuto uno stato forte e abbiamo alle spalle due secoli di riforme religiose. Inoltre la rivoluzione non ha trascurato la vita quotidiana dei tunisini, anche in questo caso lo stato si è dimostrato forte», conclude Latifa Lakhdar.


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