La guerra sul debito negli Stati Uniti

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Mancano quattro giorni al 2 agosto, giorno in cui per legge il governo americano non potrà  più indebitarsi e quindi spendere denaro: per legge, infatti, negli Stati Uniti il debito pubblico non può superare una certa soglia, che da sempre il Congresso alza periodicamente senza troppi patemi. Stavolta le cose sono state molto più complicate, per via della imminente campagna elettorale, per le due maggioranze di colore diverso nei due rami del Congresso e per l’intransigenza dei tea party, numerosa e rumorosa fazione del partito repubblicano. Oggi le trattative politiche tra i due rami del Congresso e la Casa Bianca sono ancora in fase di stallo. La notizia delle ultime ore, però, conferma quanto già  era apparso evidente negli ultimi giorni: se i democratici del Congresso sono uniti, seppure con molti malumori, dietro la proposta di Harry Reid, leader della maggioranza in Senato, i repubblicani non sostengono allo stesso modo la proposta di John Boehner, leader della maggioranza alla Camera nonché speaker.

La proposta Boehner, che taglia circa 900 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, doveva essere votata ieri sera, stanotte in Italia. L’intenzione dei repubblicani era approvarla alla Camera, dove hanno la maggioranza, per farla arrivare al Senato a poche ore dal 2 agosto come unica proposta in vita e col sostegno di un ramo del Congresso, così da forzare la mano alla Casa Bianca e ai democratici, che al Senato hanno la maggioranza. Il piano è fallito, per il momento: dopo molte ore di attesa, infatti, John Boehner ha prima rinviato e poi annullato il voto della Camera sulla sua proposta di innalzamento del tetto del debito. La ragione è che la proposta, oltre a non avere ovviamente il sostegno dei democratici, è osteggiata apertamente anche da una grossa fetta dei deputati repubblicani: soprattutto da quelli più vicini ai tea party, magari al primo mandato. Questa frangia chiede tagli al bilancio più incisivi e l’inserimento nella Costituzione di un emendamento sulla necessità  di avere il bilancio in pareggio. La loro scarsa – per non dire nulla – propensione al compromesso, specie in un momento così delicato, è stata molto criticata in questi giorni: non solo dalla stampa liberal, che li ha ripetutamente accusati di essere del tutto irresponsabili, ma anche da molti illustri repubblicani. Lo speaker Boehner durante una riunione a porte chiuse avrebbe invitato loro a “get your ass in line” (serve una traduzione?). Il senatore John McCain ieri ha definito “quegli hobbit dei tea party” degli “sciocchi” e le loro proposte “bizzarre” e “ingannevoli”. Dei candidati repubblicani alla presidenza, l’unico a sostenere apertamente la proposta Boehner è Jon Huntsman: gli altri preferiscono starne alla larga.

L’alternativa alla proposta Boehner è la proposta Reid, che taglierebbe la spesa di oltre duemila miliardi di dollari. L’ala liberal del partito democratico la considera un tradimento, dato che non contiene nuove tasse per i superricchi. I repubblicani la osteggiano perché la ritengono mal congegnata (mille miliardo di dollari di risparmi verrebbe dalla fine delle missioni in Iraq e Afghanistan, a oggi non scontate) e per un’altra ragione, probabilmente ben più importante: mentre la proposta Boehner costringerebbe il Congresso a un nuovo rialzo del tetto del deficit tra circa sei mesi, la proposta Reid permetterebbe di rimandare un appuntamento del genere a oltre il 2012. Con la campagna elettorale per le presidenziali già  iniziata e destinata ad andare a pieno regime dopo l’estate, una nuova estenuante trattativa del genere per Obama sarebbe una disgrazia. La proposta Reid è ritenuta da molti osservatori e analisti più convincente di quella Boehner ai fini della rassicurazione delle agenzie di rating. Se gli Stati Uniti, come oggi pare più che possibile, dovessero perdere il loro rating a tripla A, le conseguenze per la loro economia e, a cascata, per l’economia mondiale, potrebbero essere particolarmente delicate, secondo alcuni addirittura catastrofiche. È per questa ragione che ieri Nancy Pelosi, capo dei democratici alla Camera ed ex speaker, ha detto che i democratici devono “salvare il mondo dalla proposta repubblicana”.

La speranza dei democratici è che con la morte, o quasi, della proposta Boehner, la proposta Reid opportunamente modificata possa guadagnarsi il sostegno dei repubblicani più moderati ed essere così approvata in modo rapido e bipartisan sia alla Camera che al Senato, così da poter essere firmata dalla Casa Bianca prima del 2 agosto. Il presidente ha condotto le trattative per molti giorni, preferendo però lasciare al Congresso la mediazione sui dettagli concreti e non presentando una propria proposta: un po’ per evitare le conseguenze di una bocciatura – i repubblicani non si sarebbero fatti scappare questa occasione simbolica – e un po’ per comportarsi come “l’ultima persona ragionevole rimasta a Washington”, come è stato definito, o “l’adulto della situazione” che tenta di far arrivare a un compromesso due soggetti particolarmente capricciosi. Negli ultimi giorni, dopo l’ultimo abbandono delle trattative da parte di Boehner, la Casa Bianca ha tenuto un profilo defilato e il ministro del Tesoro, Timothy Geithner, si è messo a fare di conto: se nessuna proposta sarà  approvata, dal 2 agosto in poi il governo degli Stati Uniti dovrà  amministrare al meglio le risorse rimaste, guadagnando più tempo possibile per chiudere la trattativa politica.


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