L’appello di Obama sul debito “Accordo o sarà  l’apocalisse”

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NEW YORK – L’Armageddon che Barack Obama teme è già  cominciato. Il vento dell’Apocalisse potrebbe cominciare a soffiare già  domattina sui mercati da Tokyo a Wall Street. Il piano per innalzare il tetto del debito (14.300 miliardi), che il presidente voleva ottenere, per oggi non c’è. Anzi. L’ennesimo richiamo al «compromesso» e ai «sacrifici condivisi» per trovare un «approccio equilibrato» – lanciato nel tradizionale appello presidenziale del sabato – è finito direttamente nel cestino dei repubblicani prigionieri dei taglia-taglia dei Tea Party.
L’America gioca col fuoco. E il presidente – già  scottato dalla disoccupazione (9,2 per cento) e dalla ripresa che non si vede – ha già  deciso: è pronto ad accettare il piano B. «L’accordo senza accordo», che in queste ore stanno continuando a elaborare i due leader del Senato: il repubblicano Mitch McConnell e il democratico Harry Reid. Una leggina pilatesca, che gli permetterebbe di alzare il tetto del debito a piccole tappe nei prossimi 18 mesi. È una scommessa a vincere o perdere tutto. I repubblicani diranno che Barack non ha voluto tagliare: ma loro sono riusciti comunque a evitare il default. Il presidente dirà  che lui ha accettato per evitare il default: malgrado l’ostruzionismo suicida dei repubblicani.
Ma perfino per il piano B i tempi sono più che stretti. Anche perché i repubblicani sfasciatutto non ci stanno: e tra due giorni cominceranno a votare i loro tagli, che Obama non firmerà  mai. Lui ha proposto 4mila miliardi di tagli, compresi mille miliardi di riforma fiscale. Quelli rispondono con 2mila miliardi e mezzo di soli tagli: che ricadranno sul ceto medio senza toccare le tasse ai ricchi. Che si fa?
Standard & Poor’s picchia ancora più duro, quantificando al 50 per cento la possibilità  di mettere un segno meno alla potenza più forte del mondo. Così quella che Ben Bernanke definisce la «calamità  mondiale» del default si trasforma davvero nell’Armageddon evocato da Obama: con la svalutazione dei pagherò di Stato e il “disastro” per l’economia mondiale temuto anche dall’Fmi.
Che figura. L’amministrazione ha cercato fino all’ultimo di evitare le dichiarazioni che hanno fatto impazzire i mercati. Gli uomini di Obama – timorosi di fughe di notizie stile WikiLeaks – avevano addirittura chiesto agli analisti londinesi di Standard & Poor’s di discuterne dai telefoni sicuri dell’ambasciata Usa. In una serie di meeting ad alto livello, era stato coinvolto perfino il capo del Tesoro Tim Geithner. E, invece, guardate che disastro. «Noi non facciamo altro che mettere uno specchio di fronte alla realtà », dice al Washington Post l’analista di S&P John Chambers. E cita le precedenti bocciature che l’agenzia è stata costretta a fare: Uruguay, Venezuela e Indonesia.
Ma quelle sono economie certo robuste ma emergenti. Mentre questi – ha ricordato sdegnato l’altro giorno Obama – «sono gli Stati Uniti d’America». O forse erano. Se non si alza il tetto del debito i conti sono fatti. Dal 2 agosto, gli Usa non possono più indebitarsi e quindi devono spendere solo quello che incassano. Ad agosto entrano 176 miliardi. Ma ne escono 306. È coperto insomma solo il 56 per cento delle spese. Andranno fatte delle scelte. Se si paga la sicurezza e il welfare (sanità , pensioni, disoccupazione) non ci sono soldi per pagare le truppe. Se si pagano le truppe e il welfare non ci sono i soldi per la sicurezza. Ed è solo l’inizio: lo scatto dei tassi renderà  la bolletta sempre più salata.
Così, mentre Washington litiga, Wall Street trema. Circola un rapportino allarmante firmato Goldman Sachs. In cui la banca d’affari ha dovuto rivedere i numeri della crescita per il terzo e quarto quadrimestre: dal 2 per cento al 3.25 previsti, passiamo all’1.25 al 2.5 per cento. Motivo? Lo tsunami giapponese e lo shock petrolifero hanno complicato le cose. La crisi di fiducia e il rallentamento dei consumi hanno fatto il resto. Ecco perché è sempre più probabile “una nuova recessione”. L’Armageddon è già  tra noi.


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