L’accordo interconfederale, pietra tombale

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Riprendendo, infatti, il meccanismo in vigore nei settori pubblici (deleghe sindacali certificate dall’Inps e risultati ottenuti nelle elezioni delle Rsu) e allargandolo anche a quelli privati, nell’ipotesi di accordo interconfederale si finisce con l’eliminare drasticamente e, soprattutto, definitivamente, il ruolo e il conseguente peso dei lavoratori precari iscritti al sindacato.
Chi non ha un lavoro a tempo indeterminato, infatti, per aderire a un’organizzazione sindacale lo fa tramite la cosiddetta «tessera diretta», e il tesseramento relativo non viene certificato dall’Inps e dunque, secondo le ipotesi di cui sopra, non conta. Così come raramente partecipa, in via ufficiosa, alle elezioni delle Rsu e quindi, ancora una volta, non conta. Ora, a mio avviso, questa parte dell’accordo interconfederale può essere accettata e ritenuta corretta solo in due casi. O si ritiene che il numero dei lavoratori precari in Italia sia talmente esiguo da non dovere neanche essere preso in considerazione, se non per una generica e pelosa solidarietà  verso i lavoratori più “sfortunati” (alcuni sindacalisti parlano di 200.000 precari in tutta Italia) o si pensa ancora che il lavoro precario sia solo una condizione temporanea – certo più lunga di prima – in attesa del salvifico, ineluttabile lavoro a tempo indeterminato che farà  rientrare tutti i precari non solo in un sistema generalizzato di welfare ma anche nella legittima, a quel punto, possibilità  di contare nel sindacato dei “lavoratori veri”. Ebbene, mi dispiace doverlo ricordare, ma non è così: i precari in Italia sono diversi milioni, non meno di cinque secondo le più recenti stime, e la loro condizione lavorativa è strutturale e non cambierà , né domani né dopodomani, né probabilmente mai.
La democrazia rende libere le persone solo nel suo esercizio pieno, laddove il voto dei lavoratori a tempo indeterminato e dei precari è realmente un fattore determinante, dal punto di vista individuale e soprattutto da quello collettivo.
Non si tratta allora di costruire “riserve indiane” d’avanguardia nelle strutture organizzate del sindacato, ma di decidere se il sindacato vuole o meno essere la forma di organizzazione di milioni di lavoratori “diversamente lavoratori”. Altrimenti i precari se ne inventeranno un’altra. E noi saremo con loro.
* coordinamento precari della conoscenza Flc-Cgil


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