L’acquedotto pugliese e il referendum

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Più passano i giorni e più mi accorgo che in questa disputa contro la Puglia stanno godendo di un’insopportabile coltre di silenzio omissivo tutti i gestori idrici italiani, pubblici e privati, mai interpellati per adeguarsi ai tempi nuovi aperti con la consultazione elettorale. Accade quindi che i privatisti sconfitti stanno approfittando e consolandosi attraverso il fratricidio culturale che mi vuole colpire, e mentre ciò accade stiamo rischiando di far risvegliare gli italiani in un mondo che non cambia di una virgola.
Oggi decido per questo di tirare fuori dall’ombra e puntare un riflettore esigente su tutti gli ambiti idrici italiani, che ad oggi non paiono smuoversi per rivolgere una richiesta esigente nei confronti dei propri gestori (Acea, Arin, Publiacqua, Hera, ecc.), affinché valutino la possibilità  di adeguarsi al risultato referendario.
Per far questo ho quindi la necessità  di declinare le mie generalità : il mio impegno e le mie decisioni per Acquedotto pugliese.
L’acqua che distribuiamo non sgorga in Puglia ma nelle regioni vicine, alle quali paghiamo il costo industriale della risorsa e il risarcimento ambientale. Ditemi se in giro esiste una dinamica idraulica simile. Il lungo percorso per giungere nelle case del pugliesi ha generato, nell’ultimo secolo, una rete di oltre 21.000 chilometri. Il mondo accademico studia in Puglia gli acquedotti interconnessi e unicursali. Ma non basta. La morfologia generalmente pianeggiante ha escluso dai testi di fisica letti in Puglia il concetto di spostamento per gravità  e da quelli di idraulica il movimento a pelo libero. Ci tocca sollevare, spingere, cioè fare la felicità  delle imprese elettriche. Il percorso dell’acqua non finisce all’imbocco dello scarico del lavandino: abbiamo il bisogno di depurarla e il nostro unico corpo idrico è il mare. Altre regioni possono beatamente usare i fiumi e i torrenti, come lavatrici naturali, noi no. Pensate a Milano: il primo impianto di trattamento è del 2005, prima scaricava i propri liquami nell’agonizzante fiume Lambro. Scaricare in mare? Apriti cielo. La balneazione, il turismo e quindi l’economia ne può soffrire. Ecco la risposta, originalità  nell’originalità : l’affinamento. Si avvia il processo di affinamento dei reflui per il riutilizzo in agricoltura. In Puglia, con legge approvata durante il mio mandato, l’affinamento è misura di qualità  e quantità  del servizio idrico integrato, e su google alla voce affinamento emergono solo links pugliesi.
Questo è il contesto storico, idraulico e geomorfologico entro cui la Puglia è costretta ad operare, e vi prego di dirmi se ci sono altri casi che pur lontanamente possono somigliare, in termini di efficienza ed economicità  da assicurare. In questo contesto mi ritrovavo ad operare quando i pugliesi mi elessero e nello stesso mi muovo oggi: con minori problemi, lasciatemelo dire, grazie ad una gestione oculata ed efficiente che ho imposto subito, e che però mi espone ingiustamente a dare risposte che ho già  dato con le leggi e gli atti del mio mandato. E’ un’ingiustizia per la storia tribolata della Puglia, la quale – e costi quel che deve – non diverrà  mai lo scalpo per tacitare i privatisti, che così facendo, altrove e senza il fastidio del clamore, continueranno a favore i loro comodi, o far vincere la demagogia. Ho cominciato il mio mandato con Acquedotto pugliese che registrava perdite per mancata fatturazione, frutto di disorganizzazione e disimpegno, e perdite fisiche pur nella media italiana ma insopportabili per una regione che paga l’acqua alle regioni vicine. Oggi sono ridotte le une e le altre.
Il primo scoglio che ho dovuto superare quando sono arrivato era un bond che abbiamo rinegoziato al 6,92 % annui, eliminando dal paniere il pericoloso titolo (tra gli altri) General Motors. Se non l’avessimo fatto oggi Aqp sarebbe fallita.
La depurazione era affidata a società  esterne, oggi è internalizzata. I fanghi della depurazione erano smaltiti con notevoli costi, oggi una sensibile percentuale è trasformata in concime dalla stessa Acquedotto. Gli investimenti erano al rango di una qualsiasi azienda idrica con poche centinaia di chilometri di rete, oggi si fanno nella misura di 200 milioni l’anno per corrispondere ad un piano d’investimenti di 1 miliardo e 500milioni fino al 2018, di cui 500 di contributo regionale ed 1 miliardo ottenuto dal credito bancario. Il credito bancario. Quando sono arrivato le banche non aprivano le loro porte con sollecitudine agli amministratori di Aqp, oggi il rating è maggiore di Fiat, Wind, Piaggio ed altri, e ci fanno trovare le porte aperte per invogliarci a diventare clienti. Con questa “rivoluzione” il mio governo e la mia maggioranza hanno approvato una legge per la ripublicizzazione, superando subito l’ostacolo di dover reperire 12.200.000 di euro per acquistare le azioni detenute dalla Basilicata. Senza questa operazione finanziaria non avremmo potuto fare alcuna ripublicizzazione, ed oggi mi addolora chi si manifesta perplesso sulla ripublicizzazione, pensando alla mia maggioranza ed ai funzionari regionali che hanno dato il meglio per resistere alle critiche e per fare in modo che la somma utilizzata potesse rientrare nel massacrato bilancio regionale attraverso le riserve straordinarie di Aqp. Mentre tutto ciò accadeva e nello spirito del referendum, mi accoglie una richiesta di eliminare il 7% della remunerazione dalla tariffa, con la mala fede di chi sa che questa richiesta va inoltrata all’autorità  regolatrice, cioè ai sindaci pugliesi.
Questa richiesta non è tecnicamente perorabile perché in Puglia la remunerazione non è “profitto”, serve a pagare gli interessi alle banche per accedere al miliardo di euro di investimenti già  programmati e lo sciagurato bond su cui mi aspetto una class action nei confronti di chi se ne rese protagonista. Io non mi aspetto che i sindaci autorizzino una riduzione tariffaria del 7%, anche perché a ciò corrisponderebbe almeno la proporzionale riduzione degli investimenti: cioè l’acqua, la fogna e la salute per i pugliesi, ed in particolare per quelli più deboli.
L’unico motivo reale di dibattito, e me ne duole non aver potuto soddisfare la richiesta, attiene al quantitativo minimo vitale, che il bilancio regionale non è in grado di assicurare, perché il costo ammonterebbe a circa 70 milioni di euro. Non abbiamo la disponibilità  di questa cifra anche grazie al governo nazionale che ha falcidiato le finanze delle regioni, e ciò nonostante stiamo per approvare in consiglio regionale un ordine del giorno per garantire il minimo vitale, attraverso una richiesta ai sindaci di rimodulazione tariffaria, incentrata sul pagamento gradualistico in base al reddito e al principio chi spreca paga, senza modificare il piano degli investimenti.
E’ l’unica soluzione in questo momento, ed è l’unica a causa dei tagli del governo, quegli stessi che mi inducono a chiedere quando arriverà  il giorno in cui capiremo che la battaglia generale contro il governo sui tagli appartiene anche ai sostenitori di battaglie settoriali? Quando capiterà  che di fronte ad una battaglia settoriale di vitale importanza, come in questo caso, la voce dei sostenitori si leverà  più forte, determinata e chiara? Devo aspettare ancora molto per vedermi accompagnato da un presidio permanente aperto sotto Palazzo Chigi?
Avrei potuto trincerarmi dietro la competenza dei sindaci sulla tariffa le sue modifiche, o magari mettermi alla testa di chi ha il diritto di reclamare anche l’impossibile nei confronti dell’autorità  regolatrice delle tariffe (sempre i sindaci): vi prego di credermi, avrei saputo fare bene. Ma non è il mio costume. Ho promesso una stagione di riforme e le riforme non si raggiungono prendendo in giro, o eccitando l’orgoglio di una battaglia e così calpestando chi come me vuole soltanto raggiungere per davvero l’approdo comune.


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