L’America e la roulette russa economica

Loading

Alzare il tetto dell’indebitamento è stato, finora, un atto dovuto da parte della Camera dei Rappresentanti (che ha i poteri fiscali nel Congresso): il Congresso l’ha fatto sette volte senza controversie e con voti bipartisan durante gli otto anni di George W. Bush mentre il debito pubblico cresceva – grazie alle guerre non pagate e ai grandi tagli alle tasse. L’idea di far fallire il governo per costringere Bush a cambiare politica non è venuta in mente a nessuno. Il danno al paese – la reazione dei mercati finanziari in tutto il mondo quando il governo non paga più gli interessi degli obblighi; la sofferenza di cittadini normali quando non riceveranno pagamenti dovuti o servizi necessari – era inimmaginabile e troppo irresponsabile da considerare. Ma ora che abbiamo una Camera dominata dai repubblicani e un presidente democratico, i repubblicani – spinti dallo zelo ideologico e minacce dal cosiddetto Tea Party – minacciano di lasciare passare la scadenza se Obama e i democratici non promettono di ridurre le spese del governo federale da circa 4 mila miliardi di dollari senza un dollaro di nuove tasse, anzi con tagli alle tasse ai nostri cittadini più ricchi mentre si eliminano servizi e assistenza al resto della popolazione, in forme di pensioni, di assistenza sanitaria, ricerca, borse di studio. Una persona sobria e conservatrice come Warren Buffett – il leggendario investitore e capo dell’azienda Berkshire Hathaway – ha paragonato la tattica a una forma di terrorismo, prendendo in “ostaggio” l’economia del paese e “giocando una specie di roulette russa”.
Sono tutti tagli e cambiamenti che non avrebbero mai una possibilità  concreta di passare in condizioni normali – i democratici hanno la presidenza e il Senato e le posizioni particolari dei repubblicani non sono particolarmente popolari: circa il 66 per cento degli americani preferiscono alzare le tasse ai ricchi e pochissimi vogliono ridurre i benefici di Social Security (pensioni di anzianità ) e Medicare, pensioni e servizi medici per gli anziani che sono tra i programmi sociali più popolari, ma sono i bersagli maggiori dei repubblicani.
Ma molti repubblicani vedono la scadenza del tetto come una grande opportunità  da non perdere. Fanno il calcolo che il caos economico che potrebbe succedere in caso di fallimento potrebbe danneggiare Obama e i democratici più di loro. Bene o male, lo stato dell’economia nei 12 mesi prima di un’elezione è il miglior indice delle possibilità  di rielezione di un presidente. Nessun presidente dopo Franklin Roosevelt è stato rieletto con il tasso di disoccupazione sopra l’8 per cento e quello attuale è ora di circa il 9,2. I repubblicani sanno benissimo che il taglio alle spese governative non può, nel breve termine, che ridurre l’occupazione. Infatti, uno dei motivi per la crescita del tasso di disoccupazione è il taglio a livello di Stati individuali, dove i repubblicani hanno eliminato molti programmi e posti di lavoro. In questo momento, piccolo esempio di quello che potrebbe tra poco succedere a livello nazionale, i repubblicani hanno effettivamente chiuso il governo dello Stato del Minnesota grazie a un’impasse sul deficit simile a quello sul piano nazionale. I lavoratori statali non vengono pagati, i parchi pubblici sono chiusi, ecc. Al contrario del mito repubblicano dello Stato federale, come una bestia mostruosa fuori controllo, il governo ha perso 500 mila posti di lavoro dall’inizio dell’amministrazione Obama. Questo non può che aumentare la disoccupazione.
Consapevole di correre grossi rischi, Obama ha già  dato numerosi segnali di disponibilità  ad accettare molti dei tagli voluti dai repubblicani – ha già  offerto un piano per ridurre il deficit di circa 2,4 mila miliardi – accettando tagli dolorosi e molto ardui da sopportare per l’elettorato democratico. In cambio, Obama vorrebbe almeno alcune piccole concessioni: aumenti di circa 300 o 400 miliardi – una piccola parte del totale – che sono aumenti delle tasse o l’eliminazione di tagli alle tasse per i più ricchi. Per esempio, l’eliminazione di sgravi fiscali per gli aerei dei dirigenti di aziende, l’eliminazione di un buco nella legge grazie alla quale i direttori di Hedge Funds pagano solo il 15 per cento di tasse rispetto al circa 35 per cento dovuto. Sono concessioni minime senza le quali i tagli subiti dai nostri cittadini più poveri o più anziani sembrano osceni.
Ma i leader repubblicani dicono che non accetteranno un dollaro in quello che considerano un aumento delle tasse. Secondo David Brooks, commentatore conservatore ma moderato del New York Times, i repubblicani hanno perso la testa. “Se il partito repubblicano fosse un partito normale trarrebbe vantaggio da questo momento straordinario. Gli stanno offrendo l’affare del secolo: migliaia di miliardi di tagli in cambio di poche centinaia di miliardi in aumenti di entrate… Però temo che il partito repubblicano non sia più un partito normale ma un movimento ideologico”.
Per i seguaci del cosiddetto Tea Party – che è la parte accesa della base del partito repubblicano in questo momento e quindi in grado di condizionare le primarie repubblicane – non alzare le tasse di un dollaro è un articolo di fede che non può essere messo in discussione. Per gli ideologi del Tea ora è un momento storico: si prospetta il loro grande sogno, quello di rimettere le lancette dell’orologio a prima del 1929, prima dei grandi programmi del New Deal di Roosevelt. Spese governative che rappresentano solo il 25 per cento del Pil americano, giù del 5 per cento rispetto al 2000 e quasi il 20 per cento in meno rispetto ai grandi paesi europei. Eppure a sentire Mitti Romney, il “moderato” tra i candidati repubblicani alla presidenza, siamo «vicini di qualche centimetro dal cessare di essere un’economia di mercato». Ma il grande sogno dei repubblicani è di ridurre le spese governative al solo 18 per cento del Pil – che ci riporta agli anni ’20 o ci mette nella situazione di un paese come il Messico con uno Stato incapace quasi di governare.
Il gioco di Obama è costringere i repubblicani a lasciare o raddoppiare – offrendo riduzioni enormi al deficit oltre a quelle volute dai repubblicani – nel tentativo di riguadagnare l’elettorato indipendente del centro. “Sa benissimo, Obama” scrive Russ Douthat, un commentatore di destra del New York Times, “che i grandi tagli alle tasse di Bush scadono nel 2012”. Per cui, se riesce a farsi rieleggere, potrebbe essere in grado di imporre domani quello che non può ottenere oggi. Ma è una strategia rischiosa – molto rischiosa – con possibili conseguenze per la popolazione, per l’economia e anche per Obama. Ma questi sono i rischi della roulette russa.


Related Articles

Pubblico impiego, a rischio gli 80 euro di aumento

Loading

Contratto. Primo incontro all’Aran dopo la pausa estiva. I sindacati: «Più risorse per evitare perdite in busta». Domani incontro sulle pensioni

«Pronto? La Fiom informa». Battaglia con il call center Fiat

Loading

Il sindacato replica all’iniziativa dell’azienda. A Mirafiori in febbraio si lavorerà  solo 4 giorni, il resto è cig

Addio all’articolo 18 il Jobs act è legge scontri prima del voto

Loading

Il governo ha incassato la fiducia al Senato Il premier: l’Italia cambia. Poletti: testo migliore

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment