L’autobomba, l’isola: ha fatto tutto da solo?

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 Il cammino di morte di Anders Behring Breivik è iniziato il 4 maggio. Quel giorno una ditta ha consegnato alla sua fattoria a nord di Oslo sei tonnellate di fertilizzante. Nulla di strano, lo usano i contadini e Breivik gestisce l’azienda agricola. Ma quella «polvere» doveva servire ad altro. A qualcosa di più sinistro. Anders ha impiegato il fertilizzante per preparare un potente ordigno, una tecnica usata dal Nord Irlanda all’Afghanistan.
Una ricetta letale a patto di saperci fare. Non è roba da piccolo chimico. Serve una certa esperienza: dove l’ha appresa? Ha chiesto aiuto a qualcuno? Queste sono solo le prime di molte domande. Breivik ha pensato a tutto. La fattoria e un appartamento a Oslo diventano le basi. E’ qui che prepara le armi, le munizioni e alcuni ordigni più piccoli. Poi prova la mira al club di tiro dove era iscritto da tempo. E’ così che Anders passa sotto il radar. Nessuno si accorge quando controlla il suo «terreno di caccia» .
La zona dei ministeri e l’isola di Utoya dove è previsto il raduno giovanile. Il norvegese, 32 anni, alto 1,90, evita di attirare l’attenzione. Qualcuno conosce le sue simpatie per l’estrema destra xenofoba, ma questo non lo identifica in un soggetto a rischio. Ma forse freme, è consapevole che l’ora dell’attacco è vicina. Il 17 luglio lancia un segnale sul network di Twitter. È la citazione del filosofo John Stuart Mill: «Una persona con un credo ha altrettanta forza di 100.000 persone che hanno interessi» . Un slogan o un segnale a qualcuno che sa? Forse compie un’altra ricognizione nel centro di Oslo. Il 22 luglio qualcuno mette un video su Youtube dove si denuncia il pericolo dell’Islam. Vi compare per pochi secondi l’assassino che indossa una muta subacquea e impugna un mitra. E’ il «manifesto» prima dell’attacco. Venerdì pomeriggio, ore 15.26. Un’esplosione investe il palazzo del governo e la vicina sede del giornale Vg. Il botto squarcia il cuore della capitale. Si alza una nuvola di fumo, a terra sette cadaveri e molti feriti.
La bomba — ora c’è la conferma— è nascosta su una vettura. Oslo come Beirut. Altra domanda: come ha attivato la carica? Un timer oppure un radiocomando. Testimoni riferiranno, più tardi, di averlo visto in zona. Breivik, però, non indugia a guardare quanto ha provocato. Per la polizia l’attentatore si sposta verso nord, a 30 chilometri dalla capitale. Prende il traghetto che collega la terraferma a Utoya. Un isolotto. Il norvegese, intanto, si è cambiato. Indossa la divisa da poliziotto. In spalla un grosso zaino. Sono le 16.50. I giovani e i ragazzi fanno capannello per commentare le notizie che arrivano da Oslo. Lui li rassicura: «Sono qui per raccogliervi e aiutarvi» . Lo assecondano. E diventano prede facili per il cacciatore. Lui si infila i tappi nelle orecchie e inizia a sparare. Con una mitraglietta e una pistola. «Morite tutti» , avrebbe gridato. Spara e ricarica. «Ogni 10 secondi una serie di colpi» , ricorda uno scampato. I ragazzi tentano di salvarsi buttandosi nelle acque gelide. Molti muoiono annegati ma la maggioranza cade sotto il fuoco.
Anders non ha pietà . Cammina tra i corpi stesi al suolo e si ferma per il colpo di grazia. Non vuole superstiti né testimoni. Insegue le sue vittime tra alberi, casette e rocce. Utoya è un campo di morte. Difficile uscirne vivi. Vi riescono dei ragazzi recuperati da Torril Hansen che si avvicina all’isola con la sua barca: «Ne ho caricati dieci, poi ero al limite. Terribile lasciare a terra l’undicesimo» . Alle 17.38 le teste di cuoio partono da Oslo dirette verso Utoya. Ci vanno in auto perché non vogliono perdere tempo per aspettare l’elicottero. Attorno alle 18 sono sulla costa ma hanno problemi nel trovare un battello. Ci riescono 20 minuti dopo. Intanto Breivik continua il tiro a segno malgrado sia sbarcata la polizia. I rapporti indicano: ha sparato per un’ora e mezzo. Lo fermano alle 18.35, quando i commandos lo «bombardano» con lacrimogeni e granate stordenti. Breivik butta le armi con le quali ha falciato 85 innocenti.
Un bilancio provvisorio, le vittime potrebbero arrivare a 97 o 98, visto che ci sono dei dispersi. Intanto sull’isola gli artificieri recuperano alcuni ordigni mentre gli investigatori esplorano la pista del «secondo uomo» segnalato dai sopravvissuti. E’ un sospetto guidato anche dalla ragione. Sembra impossibile che Anders abbia fatto tutto da solo. Portato al comando Breivik confessa e collabora. Un «dialogo difficile» , ammettono gli ufficiali, con un assassino che forse nasconde dei segreti.


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