Le cataratte del Pdl

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 Oggi Silvio Berlusconi avrebbe dovuto incontrare Umberto Bossi, per chiedere chiarimenti su quanto accaduto due giorni fa alla camera. Ma il Senatur non parteciperà  al consiglio dei ministri. Di conseguenza, salterà  anche l’incontro a quattrocchi tra i due leader. «Un’assenza decisa da giorni, a seguito di un piccolo intervento di cataratta – minimizzano da via Bellerio – e non in relazione quindi con quanto avvenuto negli ultimi giorni». «Ho avuto rassicurazioni, non c’è alcun rischio per il governo», giura Berlusconi a Bruxelles.

In ogni caso difficilmente oggi il presidente del consiglio avrebbe avuto risposte in merito. E non certo perché «l’amico Umberto» voglia rompere quell’asse, non solo politico ma anche personale, che ha permesso al Cavaliere di governare il paese per otto degli ultimi dieci anni, ma perché, più semplicemente, il Senatur non saprebbe cosa dirgli. I tempi del «io e Berlusconi la quadra la troviamo sempre» sembrano definitivamente tramontati. E l’incontro chiarificatore rischia di trasformarsi in «un guardarsi in faccia» di due leader al tramonto, capaci al massimo di rimembrare «i bei tempi andati» quando con una cena ad Arcore facevano e disfacevano il paese a loro piacimento. Del resto, il Senatur sa che il post-Berlusconi nel Pdl non poteva che coincidere con il post-Bossi nella Lega. Ma gli eventi degli ultimi giorni, nonostante Roberto Maroni minimizzi, parlando di «ricostruzioni fantasiose e di una Lega compatta sotto la guida di Bossi», sembrano aver dato luogo ad un’accelerazione di non facile gestione.
La tensione tra Pdl e Lega resta alta. Le parole di un berlusconiano come Niccolò Ghedini («nessuno strappo con la Lega, Berlusconi sta bene») suonano false e stonate. E il tentativo di distendere gli animi con la decisione di far slittare la votazione al senato sulla proroga delle missioni internazionali a martedì, dopo che il viceministro Roberto Castelli aveva annunciato che avrebbe votato contro e che era pronto anche a dimettersi, non basta certo a far tornare tutto nella normalità . E neppure l’incontro di ieri pomeriggio tra Roberto Calderoli, Angelino Alfano e altri esponenti del Pdl (ufficialmente convocato per discutere del ddl di riforma costituzionale presentato dal Carroccio e in agenda nel consiglio dei ministri di questa mattina) poteva bastare a risolvere i nodi politici. Perché, al di là  di una presunta telefonata «rassicurante» tra il premier e Maroni (Berlusconi poi preciserà  di aver parlato «a lungo con gli uffici» del ministro e di aver cercato invano Bossi per fargli gli auguri per il suo intervento), da quello che sembra essere ormai accreditato come il nuovo leader della Lega è arrivata solo una breve, e scontata, dichiarazione di fedeltà  al capo: «Il gruppo è compatto intorno a Bossi, il resto sono solo fantasie».
Ma nel Carroccio gli uomini a lui più vicini stanno continuando a lanciare segnali al presidente del consiglio. «Il patto con Berlusconi va ridiscusso, questo è certo», dice il sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo. Ancor più esplicito Giancarlo Gentilini, che si permette pure di dare un consiglio a Umberto Bossi: «Nessun problema in casa Lega, ma Bossi come Berlusconi dovrebbe avere il coraggio di delegare certi poteri». E il sindaco di Verona Flavio Tosi dice chiaramente: «L’alleanza con il Pdl sta dando buoni frutti, il problema è chi la guida e guida il governo. Berlusconi in passato non ne sbagliava una, ultimamente è l’esatto contrario».
In via Bellerio, sponda maroniana, ormai si discute del futuro del movimento. Negli ultimi tempi Maroni non ha sbagliato una mossa. Nei congressi leghisti ha piazzato i suoi uomini in posti chiave. Come uomo di governo, ha ottenuto i successi più vistosi, con gli arresti di esponenti della criminalità  organizzata. Sulla Libia, dopo Pontida è stato l’unico a dire che dei ministeri al nord gliene importava poco, e che preferiva il ritiro delle truppe italiane dal paese nordafricano. Lo slittamento delle votazioni di ieri sembra dunque essere per il ministro dell’interno una questione di tattica. Soddisfatto del successo su Papa, Maroni non vuole in questo momento calcare troppo la mano. Ci sarà  tempo. Anche perché a settembre si arriverà  a una prova ancor più dura. La votazione sull’arresto di Marco Milanese. Dovesse passare l’autorizzazione, il silurato sarebbe il ministro dell’economia Giulio Tremonti. A quel punto Maroni avrebbe via libera completa. L’ipotesi cui sta lavorando, sarebbe quella di un governo politico, «modello Dini», magari in ticket con Angelino Alfano, cercando di ricucire con Fli e una parte dell’Udc. Ma è ancora troppo presto, alcuni tasselli devono ancora essere messi al loro posto. Meglio aspettare l’autunno.tremonti nel mirino Dividere le mansioni del ministero dell’Economia per razionalizzare i costi. E’ quanto si propone un ddl presentato alla Camera, da alcuni parlamentari del Pdl e di Forza Sud. Il testo è giustificato con la manca nza a di risparmi che l’accorpamento al ministro dell’Economia delle competenze dei ministri del Tesoro, delle Finanze, del Bilancio, delle Partecipazioni statali e del Mezzogiorno non si sarebbe mai realizzato
«VOTO VALIDO» «Non credo ci siano i presupposti per considerare non valido il voto di ieri». Così Gianfranco Fini ieri ha liquidato la richiesta del capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto di non considerare valido il voto sull’autorizzazione all’arresto di Alfonso Papa. Per Cicchitto la decisione fatta dal Pd di rendere palese il voto dei suoi deputati, avrebbe rappresentato una violazione della segretezza


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