«Non è una svolta democratica: rischiamo la deriva autoritaria»

by Sergio Segio | 31 Luglio 2011 8:00

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In Turchia lo scontro tra potere militare e potere politico sembra arrivato a un punto di non ritorno. Cosa significano le dimissioni di massa dei capi di stato maggiore delle tre armi in solidarietà  con il numero uno delle forze armate Isik Kosaner, che ha abbandonato la carica in aperta polemica con il premier filo-islamico Recep Tayyip Erdogan? Lo chiediamo a Nedim Gà¼rsel, scrittore turco che vive da anni a Parigi, dove aveva trovato rifugio politico – e che ha da poco pubblicato il romanzo Les filles d’Allah, presso l’editore Seuil (in Italia, tra gli altri, sono usciti La prima donna, Feltrinelli; Il Romanzo del Conquistatore, Pironti; Ultimo tramway, Biblioteca del Vascello).
Come ha spiegato le sue dimissioni il generale Kosaner?
Lo ha fatto con un comunicato molto duro. Dice che 173 ufficiali che erano in attività  sono ora in prigione, in attesa di giudizio, e quindi hanno la carriera bloccata, in un momento in cui 77 militari di alto grado stanno per andare in pensione. Afferma che sul piano giuridico questo non è accettabile, perché i militari, accusati di aver preso parte a un tentativo di colpo di stato nel 2003, non sono ancora stati condannati, mentre sono trattati come se già  lo fossero. Kosaner sostiene poi che la stampa pro-governativa accusa ingiustamente l’esercito e così facendo indebolisce le forze armate.
A cosa mira Erdogan ingaggiando questo braccio di ferro con l’esercito?
Secondo me Erdogan ha svelato il suo vero volto. In un primo tempo il premier aveva fatto bene a limitare il peso dell’esercito, che era soverchiante sulla scena politica turca. Il potere di decisione sulle questioni militari era passato in mano ai politici. Ma ora la procedura giudiziaria rispetto al tentativo di colpo di stato del 2003, il processo Energekon, è utilizzata come arma per piazzare alla testa dell’esercito militari vicini al potere politico. Questa mossa significa che Erdogan, rieletto per la terza volta con il 50% dei voti circa alle ultime legislative, ha già  voltato la pagina europea.
La Turchia oggi è più lontana dall’Europa?
La cosa è reciproca, purtroppo. Sarkozy e Merkel non vogliono la Turchia in Europa. E oggi è Erdogan a dire che la Turchia non ha più bisogno dell’Europa, visto lo stato economico dell’Unione europea e, per contrasto, la forte crescita economica turca. L’adesione alla Ue è diventata in Turchia una questione di fierezza nazionale: e per la democrazia non è un bene. Erdogan, che non è mai stato fautore dell’adesione alla Ue, in un primo tempo ha utilizzato l’Europa per limitare il potere militare – una buona cosa. Ma adesso, con gli ultimi avvenimenti, siamo di fronte al rischio di una deriva autoritaria. Sente di avere le mani libere per fare ciò che vuole. Il suo scopo è cambiare la Costituzione, instaurare un sistema presidenziale e farsi eleggere presidente, mentre l’attuale capo dello stato, Abdullah Gul, diventerebbe primo ministro. Siamo di fronte al rischio di una «putinizzazione» del potere in Turchia, con Erdogan e Gul nei panni di Putin e Medvedev. Già  nell’Akp, il suo partito, c’è poca democrazia. Ora Erdogan mette le mani sull’esercito, lo rimodella: nel passato, di fronte a quest’offensiva ci sarebbe stato un colpo di stato militare. Oggi è impossibile, per fortuna. Però, è il potere politico che apre la prospettiva di autoritarismo. La Turchia evolve verso un’indipendenza dall’Europa, ricerca altre alleanze, con la Russia, con l’Iran, non certo modelli di democrazia”.
Durante le primavere arabe si è molto parlato della Turchia come di un modello…
Per fare da modello, la Turchia dovrebbe provare di essere veramente democratica. Erdogan è riuscito a integrare nel sistema il radicalismo islamico: l’Akp ha conciliato l’islamismo con una certa forma democratica, anche se non certo una democrazia all’europea. Ma oggi c’è un rischio di autoritarismo. In prigione non ci sono solo i militari accusati del tentativo di colpo di stato ma anche una settantina di giornalisti, sospettati di essere legati ai fatti del 2003. Tra loro c’è Mustapha Balbay del giornale Cumhuriyet, eletto del partito socialdemocratico; i giornalisti Ahmet Isiic, Nedim Sener e Yadem Soner sono anch’essi in carcere in attesa di giudizio. Siamo di fronte qui a un vero problema di diritto. Erdogan fa di tutto per avere una stampa docile. Siamo di fronte a un’evoluzione verso un regime autoritario, che conserva la democrazia come facciata.
Come evolverà  la questione kurda con questo terremoto nell’esercito?
Il conflitto militare, che è in ripresa – la scorsa settimana sono stati uccisi 13 soldati turchi – rischia di aggravarsi. I negoziati aperti con il Pkk ora sono congelati, perché è stata chiusa la porta alle rivendicazioni kurde. Anche la lotta al terrorismo può essere utilizzata per limitare la democrazia, da un Erdogan forte in consensi elettorali. Il premier
ha portato gli islamisti nel sistema. Ha limitato lo strapotere dei militari, bene: ma con l’Europa ormai lontana, «oggi è il governo civile che vira sull’autoritario»

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