Mandela, la battaglia del marchio la Fondazione a caccia dei falsari

by Sergio Segio | 17 Luglio 2011 8:02

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LONDRA – La retorica, vista la grandezza del personaggio, è quasi inevitabile, ma alla vigilia del 93esimo compleanno di Nelson Mandela non si erano mai letti tanti commenti che non suonassero più come necrologi e rivendicazioni di relazioni strette, che come auguri. Intorno al nome dell’uomo che ha incarnato l’ideale di pace e di riconciliazione dei nostri tempi si è già  scatenata una cruenta battaglia per la spartizione della sua eredità  morale.
Domani sarà  il «Mandela day», festa nazionale in Sudafrica e una tra le tante ricorrenze suggellate dall’Onu per spronare l’umanità  ad agire per il bene comune. I sudafricani, e tutto il mondo, sono invitati a destinare 67 minuti della loro giornata – un minuto per ogni anno che Mandela passò a lottare per la riconciliazione e i diritti umani – a fare qualcosa per migliorare la società . Il problema è che, proprio nel nome di Mandela, c’è chi da tempo trascorre molto più di un’ora a usare il mito nato intorno all’icona della lotta all’apartheid per profitto personale. Peccati veniali, quali chiamare un nuovo fast food «Il pollo di Nelson», per la Fondazione Mandela sono gravi quanto millantare relazioni e diritti sull’eredità  morale di «Madiba». Le frodi nel nome del mito non sono una novità , tanto che la Fondazione, costituita dallo stesso Mandela nel 1999 quando si ritirò dalla scena politica, dedica sul suo sito una sezione costantemente aggiornata sui tentativi di appropriazione indebita del «marchio Mandela».
Nell’ultimo periodo, però, agli usuali raggiri per ottenere denaro in nome delle attività  di Mandela si è affiancata la battaglia prematura per disporre addirittura delle spoglie del leader una volta che dovesse passare oltre. Le notizie sulla sua salute non sono rassicuranti e venerdì è stato necessario un aereo medico militare per portarlo a Qunu, il villaggio dove visse da ragazzino, dove trascorrerà  il compleanno con la sua famiglia. Sarà  una festa ben diversa dalle ultime, quando apparve sempre in pubblico, e un ulteriore segnale per gli avvoltoi che gli si affollano intorno.
Primi tra tutti i membri della sua sterminata famiglia. Mandela dai due matrimoni ha avuto sei figli di cui tre ancora in vita, ha 17 nipoti e nove pronipoti. L’essere figlio di uno dei capi dell’etnia Xhosa gli assicura inoltre stretti legami con i maggiorenti di numerosi gruppi tribali. Se la linea ereditaria del patrimonio materiale di Mandela può essere stabilita per legge, non è facile fare altrettanto per la sua eredità  morale, perché nessuno è un vero continuatore dei suoi ideali e nessuno possiede il suo carisma. È indicativo, a questo proposito, che una delle sue nipoti, Ndileka, si proclami figura di raccordo nella famiglia e si descriva autorizzata a farlo in quanto «prima della prima della prima», cioè prima figlia della prima figlia della prima moglie di Mandela, Evelyn, dalla quale divorziò nel 1958 per sposare Winnie. Ndileka si batte perché la famiglia si esprima con una sola voce su tutto ciò che riguarda il nonno, ma le difficoltà  in proposito sono state chiare lo scorso gennaio, quando Mandela fu ricoverato per insufficienza respiratoria e le notizie sulle sue condizioni di salute furono le più svariate.
Triste a dirsi, ma c’è già  chi pensa a come far soldi anche dalle spoglie di Mandela. Di recente il nipote Mandla ha preso l’iniziativa di trasferire le salme dei tre figli defunti di Mandela dal villaggio di Qunu a Mvezo, dove il leader nacque nel 1918, lasciando intendere che quella sarà  la tomba del nonno. Il resto della famiglia non ha apprezzato, ma l’obiettivo di Mandla, capo del villaggio di Mvezo, è chiaro, basta pensare a quanta gente andrebbe in pellegrinaggio sulla tomba di Madiba.

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