No Tav, marcia pacifica per diecimila ma i ribelli annunciano un nuovo fronte

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CHIOMONTE – «Grazie Maroni». I No Tav dalla Val di Susa mandano i saluti al ministro dell’Interno e annunciano un nuovo presidio, un nuovo fronte, nell’area dove a settembre partiranno gli scavi.
Il ministro dell’Interno alla vigilia della marcia contro la linea Torino-Lione e il cantiere di Chiomonte aveva parlato di «giornata clou», alludendo al rischio di scontri con le forze dell’ordine. È stato invece un corteo pacifico. I caschetti e le maschere anti-gas sono rimaste dentro gli zaini. I sassi a terra. I manifestanti hanno strappato solo qualche fiore per lanciarlo contro i poliziotti e per lasciarlo sui cancelli del fortino presidiato. In marcia le famiglie, moltissimi i valsusini, i bambini e gli anziani, i più agguerriti: «Mi raccomando, oggi dobbiamo fare i bravi ragazzi». Sbagliate le previsioni allarmanti di venerdì, dopo i giorni di guerriglia notturna attorno alla Maddalena. Il movimento ha centrato l’obiettivo: dimostrare che la Tav non è un problema di ordine pubblico, di guerriglia, di teppisti violenti.
Già  a Giaglione, punto di ritrovo per imboccare i sentieri verso Chiomonte, si capisce che è una giornata diversa dal 3 luglio. In testa lo striscione “No Tav – Fuori le truppe dalla Val di Susa” con Asterix ed Obelix che indossano una maschera antigas. In mezzo alla gente, a volto scoperto, una banda musicale. Si parte. «Siamo dieci mila, grazie Maroni, grazie a chi ha gufato», dicono gli organizzatori. La questura, a fine giornata, dice 4 mila. Lungo i boschi, attorno al cantiere, è una catena umana di gente.
Per la prima volta, però, non ci sono i sindaci in maniera compatta. Solo sette su ventuno hanno deciso di non dare ascolto agli appelli del Pd e del presidente della Comunità  montana, Sandro Plano, un No-Tav convinto, di disertare per il rischio violenze. «Mi pare che già  oggi il segnale che viene dai sindaci della Val di Susa, che hanno preso la distanze dai violenti sia importante», dice però il ministro Maroni che annuncia a settembre un ritorno a Torino per decidere nuove iniziative per la difesa del sito di Chiomonte: «Noi siamo pronti e determinati – afferma Maroni – per garantire la legalità  e contrasteremo, come abbiamo fatto, ogni forma di violenza. Abbiamo già  in mente nuove misure, il cantiere andrà  avanti sotto la tutela delle forze dell’ordine, ma vedremo cosa sarà  necessario fare». E il questore di Torino Aldo Faraoni, a fine giornata, dopo la marcia pacifica, auspica una «nuova fase». La risposta dei No-Tav è chiara: «Le regole di ingaggio le decidiamo noi, decidiamo noi quando bisogna portare le famiglie e quando bisogna andare alle reti».
Il controllo dell’ala dura e degli infiltrati è stato messo a punto dai No-Tav: un servizio d’ordine schierato sui punti di contatto tra le recinzioni e i sentieri. Per la prima volta sono loro a tenere a bada “i cattivi” e non i poliziotti. «Siamo stati noi a decidere così», dicono i leader del movimento. Tra i manifestanti e la polizia si è messo in mezzo anche Alberto Perino, il leader dei No Tav: «Il copione lo decidiamo noi, oggi era una marcia pacifica».
Dopo il corteo pacifico il fronte si sposta. Già  ieri sera le prime scaramucce tra un gruppo di circa 100 antagonisti e le forze dell’ordine: i primi a lanciare sassi contro i guard rail e poi contro gli agenti, disturbati anche con laser negli occhi, i secondi immobili senza raccogliere le provocazioni. A Chiomonte rimarrà  un presidio, ma il movimento contro la linea ferroviaria ad alta velocità  vuole aprire un nuovo campo verso Giaglione, nella zona dove a settembre partiranno gli scavi. «Quando apriranno il cantiere vero e proprio, noi saremo là  e non ci sposteranno».


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CONTROCERNOBBIO
Dalle discussioni estive sulle alleanze politiche in vista delle prossime elezioni e sulle prospettive di governo sta mancando completamento il merito: il programma e gli obiettivi che sarebbe necessario darsi per fronteggiare la crisi e avviare un modello di sviluppo radicalmente diverso da quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi. E scompaiono – dal dibattito politico – da una parte la società  con le sue sofferenze e dall’altra i soggetti (il lavoro, i movimenti, la società  civile) che dovrebbero essere il perno di un cambiamento radicale del paese.

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